I Borboni Di Napoli: Fine Di Una Dinastia 1734 - 1861

 

 

La dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, detta anche di Napoli, è uno dei rami italiani della famiglia Borbone che ha regnato sul Regno di Sicilia e di Napoli dal 1734 al 1861.

L’epilogo di questa gloriosa dinastia è profondamente e drammaticamente legata alle sorti dell’unità d’Italia, un disegno geopolitico e finanziario, partorito dalle mire espansionistiche dello Stato sabaudo, aiutato e sostenuto in tale impresa da avventurieri, banchieri e monarchie straniere. Circostanze tutte, storicamente accertate.

Ma prima di focalizzare la nostra attenzione sulle vicende concernenti l’ultimo rappresentante di questa illuminata dinastia è tuttavia d’uopo narrare alcuni antefatti, che hanno caratterizzato le vicende relative anche ai precedenti regnanti, seppur nei loro aspetti salienti, onde apprezzarne l’intrinseca importanza nonché  le connessioni con i fatti successivi.

Carlo di Borbone fu il fondatore della dinastia dei Borbone: figlio di Filippo V di Spagna ( re di Napoli tra il 1700 e il 1713; re di Spagna dal 1700 al 1746 e fondatore della dinastia dei Borbone di Spagna) e della duchessa di Parma Elisabetta Farnese. Nel 1734, durante la guerra di successione polacca, al comando delle armate spagnole, Carlo, duca di Parma e di Piacenza,conquistò il regno di Napoli e nel 1735 il regno di Sicilia, sottraendoli alla dominazione austriaca. Dopo quasi 30 anni di regno,nel 1759 ascese al trono di Spagna con il nome di Carlo III, dopo la morte senza eredi del fratello Ferdinando VI di Spagna. Carlo, dunque, dovette rinunciare,per ragion di stato, ai troni italiani e abdicò in data 6 ottobre 1759 decretando la definitiva separazione tra la corona spagnola e quelle napoletana e siciliana.

 Lo storico Giuseppe Galasso ha definito il regno di Carlo di Borbone come “l’ora più bella” nella storia del napoletano. Egli infatti restituì alla città di Napoli l’antica indipendenza dopo oltre due secoli di dominazione straniera ( caratterizzata dal “Viceregno” spagnolo e poi austriaco che sfruttò le nostre terre fino al midollo),inaugurando un periodo di rinascita politica, di ripresa economica e di sviluppo culturale. Erede per parte di madre di una straordinaria collezione di opere d’arte  e di antichità, ottenne il diritto di poterla trasferire da Parma a Napoli; tali beni che saranno prima destinati alla Villa Reale di Capodimonte e poi al Museo Archeologico Nazionale, dove tuttora costituiscono  la celebre ed inestimabile  “collezione Farnese”.

Grandioso fu il progetto di riunificazione della intera legislazione napoletana,poi raccolta nel celebre Codice Carolino, cui lavorarono rinomati giuristi; così come notevole fu la riforma fiscale del Regno, volta a rendere più equa la distribuzione  del carico fiscale, facendo in modo <>.

Maestose restano le opere architettoniche realizzate durante il suo regno: dal Real Teatro San Carlo, alle regge di Portici e di Capodimonte, alla residenza reale di Caserta ( che rivaleggiava con Versailles per magnificenza). Commissionò all’architetto Vanvitelli,  ,lo scenografico Foro Carolino ( oggi piazza Dante), edificò gli alberghi dei poveri di Napoli e di Palermo ( dove gli indigenti, i disoccupati e gli orfani avrebbero ricevuto ospitalità,nutrimento ed educazione…e tutto questo già circa tre secoli fa!!).

 Nel 1738 iniziarono poi le grandi ricerche archeologiche che riportarono alla luce le  antiche e suggestive città di Pompei, Ercolano e Stabia sommerse dalla grande eruzione del Vesuvio del 79 dC ( unica testimonianza al mondo di questo genere!!). Come già detto, Carlo fu poi richiamato al trono di Spagna per succedere al fratello Ferdinando IV che morì nel 1759. Sul trono di Napoli lasciò il figlio terzogenito Ferdinando di Borbone.

Ferdinando I di Borbone, salì sul trono all’età di soli 8 anni, regnando inizialmente con il titolo di Ferdinando IV per il regno di Napoli e Ferdinando III per il regno di Sicilia, poi dal 1816 fino al 1825 come Ferdinando I re delle Due Sicilie. Data la sua età fu affidato ad un Consiglio di Reggenza (poi trasformatosi in Consiglio di Stato) col compito di governare fin quando il re non avesse compiuto 16 anni, ma le decisioni più importanti le avrebbe comunque prese di persona lo stesso Carlo da Madrid, mediante una fitta corrispondenza col fidato reggente e giurista Bernardo Tanucci.   Ferdinando I è stato dipinto dalla storiografia come una persona poco regale e dedita alla caccia e agli svaghi, tuttavia, egli ha dimostrato di essere un uomo dotato di buon senso e capace di comprendere a fondo il popolo che egli governava.

Tra le tante iniziative che egli promosse, si distinguono la fondazione nel 1779 della manifattura di San Leucio che divenne un polo di eccellenza nella produzione tessile ( ed oggi, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO); inoltre il celebre Codice di San Leucio, promulgato da Ferdinando IV nel 1789, rappresenta una avanzatissima regolamentazione per l’epoca e molti giuristi parlano di un vero e proprio Statuto dei diritti del lavoratore che anticipa di circa due secoli le disposizioni normative in materia.

Re Ferdinando, diede inoltre impulso alla marina navale, con la fondazione del Cantiere navale di Castellammare di Stabia da cui uscirono vascelli  e fregate di nuovissima concezione; fondò nel 1787 la Reale Accademia militare della Nunziatella col compito di formare quadri ufficiali di eccellenza  ( attualmente essa è tra i più antichi istituti di formazione militare al mondo); chiamò a Napoli un geografo di chiara fama (Giovanni Antonio Rizzi Zannoni) al quale  commissionò la redazione di mappe aggiornate del regno di Napoli, sulle quali studiare i punti critici e le possibili armi di difesa della nazione.

Alla fine del 1816 con la Legge fondamentale del Regno delle due Sicilie, Ferdinando istituì una nuova entità statuale il “Regno delle Due Sicilie” ed assunse il titolo di Ferdinando I Re delle Due Sicilie. Ferdinando morì il 4 gennaio 1825 all’età di 73 anni, dopo ben 66 anni di regno e fu sepolto nella Basilica di Santa Chiara, sepolcreto ufficiale dei Borbone delle Due Sicilie. Gli successe il figlio Francesco, in qualità di principe ereditario.

Francesco I di Borbone, fu re delle Due Sicilie dal 1825 fino alla morte avvenuta nel 1830. I suoi sei anni di regno furono caratterizzati da notevoli progressi in campo economico e tecnologico ( come la costruzione del Palazzo dei ministeri, della rete stradale in Calabria, dei lavori di bonifica di diversi laghi) benchè sul piano politico si registrò invero un certo immobilismo, caratterizzato da forti inclinazioni conservatrici e reazionarie da parte del sovrano. Infatti il principale obiettivo della polizia borbonica in quegli anni fu la lotta contro le sette carbonare presenti nel regno (la Carboneria fu un movimento civile e politico di natura segreta che mirava alla cacciata dello straniero, alla indipendenza e alla unificazione italiana sotto una sola bandiera repubblicana e al conseguimento di una Costituzione). Si dice che,nell’ultimo delirio prima di morte re Francesco abbia gridato: <>. Morì l’8 settembre 1830 a Napoli. Gli successe sul trono il figlio primogenito Ferdinando.

Ferdiando II di Borbone fu re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859. Succedette al padre in giovane età e fu autore di un radicale processo di risanamento delle finanze del regno. Sotto il suo dominio si ebbero una serie di riforme burocratiche di ampio respiro oltre che notevoli innovazioni in campo tecnologico, come la costruzione della Ferrovia Napoli-Portici ( la prima in Italia), la costruzione di importanti impianti industriali come le Officine di Pietrarsa; si diede inoltre un grande impulso alla creazione di una moderna Marina Militare e mercantile.

 Ferdiando II introdusse l’illuminazione a gas nella sua capitale e fu il primo tra i sovrani italiani a concedere una Costituzione ( 29 gennaio 1848). In questo periodo nascono industrie tessili e metallurgiche; viene istituito un sistema di finanziamento alla piccola proprietà rappresentata dai Monti Frumentari. Secondo alcune statistiche, il Regno delle Due Sicilie produceva più del 50% della intera produzione agricola italiana, mentre l’allevamento era superiore a tutto il resto d’Italia, sia in valore assoluto che in rapporto alla popolazione.

Ferdiando II, (a differenza dei Savoia che inasprirono la pressione fiscale e si indebitarono con le banche per finanziare le guerre di indipendenza) sulla base dei principi mercantilistici di Colbert, evitò l’indebitamento pubblico e l’inasprimento fiscale e utilizzò i surplus di cassa provenienti dalle esportazioni agricole per gli investimenti pubblici e questa scelta si rivelò efficace. Tuttavia l’8 dicembre del 1856, giorno della Immacolata Concezione, dopo aver assistito alla santa messa con tutta la sua famiglia, re Ferdinando venne assalito da un soldato di idee mazziniane che lanciandosi sul sovrano gli inflisse un colpo di baionetta al petto. L’attentatore fu arrestato e condannato a morte ma, a causa di una negligenza del medico di corte, re Ferdinando morì tre anni dopo per setticemia il 22 maggio 1859. Forse, se in quel frangente si fosse trovato un archiatra più attento e meticoloso, il corso della storia sarebbe potuto essere diverso!

 Intanto, poco prima della morte di re Ferdinando, era iniziata la seconda guerra di indipendenza. Tra il 1860 e il 1861 la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi avrebbe portato alla caduta del Regno delle Due Sicilie che fu annesso al neonato regno d’Italia. A Ferdinando, successe sul trono il figlio Francesco…..e qui giungiamo al cuore della nostra narrazione.

Francesco II di Borbone fu l’ultimo re delle Due Sicilie. Salito al trono il 22 maggio 1859, fu deposto il 13 febbraio 1861 dopo l’annessione delle Due Sicilie al Regno d’Italia.  Pur regnando per un brevissimo periodo, ebbe modo di distinguersi con varie riforme, segno eloquente di profonda comprensione per le problematiche sociali ed istituzionali: concesse più autonomia ai comuni, migliorò le condizioni dei carcerati, varò diverse amnistie, dimezzò le imposte sul macinato a favore del popolo,  ridusse le tasse doganali; e siccome era in corso una carestia, dette ordini per l’acquisto di grano all’estero per donarlo alle persone più indigenti.

 Tuttavia, egli è stato troppo fatalista in materia di politica estera e questo forse, ha determinato i giudizi non troppo lusinghieri della storiografia . I Borbone erano informati fin dall’inizio dell’impresa dei “Mille” e pur disponendo di una ingente flotta militare, i “Mille” non furono fermati. Inoltre, circostanza singolare, a Calatafimi ben 3.000 soldati borbonici dopo una accanita battaglia che li aveva già visti quasi vincitori sui garibaldini, preferirono ritirarsi, seguendo inspiegabilmente, l’ordine dell’anziano generale Landi. Poi, quando Garibaldi passò in Calabria,  dove erano di stanza oltre 12.000 soldati borbonici, ben 10.000 di loro si arresero senza sparare un solo colpo: c’è chi ha visto in tali comportamenti il sintomo della corruzione dei generali borbonici ( ed in qualche caso sono emerse prove tangibili), c’è chi ha visto invece il segno della sventura e della calamità abbattersi sul regno dopo un lungo periodo di aurea grandezza, c’è chi infine ha addossato la responsabilità per l’esito funesto della guerra alla giovane età e alla non provata competenza militare del mite re Francesco.

Forse, la verità come sempre, è riposta seppur in diversa misura, in tutte queste spiegazioni. Intanto, dopo la perdita della Sicilia e della Calabria di fronte all’avvicinarsi di Garibaldi il re lasciò Napoli per evitare lutti e battaglie nella città, ritirandosi con la regina sua consorte Maria Sofia a Gaeta. Dagli osservatori del tempo fu riferito che <<dalle banche egli non ritirò i suoi depositi e dalla reggia non portò via alcuna opera d’arte o di valore venale limitandosi a portare con sé solo oggetti di devozione e ricordi familiari>>. Intanto Gaeta fu posta sotto assedio. Ed in quella circostanza Francesco II, insieme alla moglie,  mostrò grande valore. Le fonti estere dell’epoca così si esprimono: <<L’ammirazione e son per dire l’entusiasmo, che desta in Francia il nobile contegno del Re di Napoli, vanno crescendo ogni giorno in proporzione all’eroica resistenza del giovane monarca, assediato dalla rivoluzione sullo scoglio di Gaeta>>.

 Fu proprio in questo frangente che, a causa della forte esigenza di reperire fondi per le spese militari, su suggerimento del ministro delle finanze Carbonelli, furono emessi due buoni delle Reali Finanze ( del valore rispettivamente di cento e di mille franchi) con una connessa rendita pubblica, onde reperire un prestito di cinque milioni di ducati.

La formula di obbligazione della cedola illustrata così recita : “Reali Finanze/ capitale franchi cento –rendita annua franchi cinque/ il presente buono fa parte del prestito di cinque milioni di ducati/ stabiliti con real decreto de 10 Ottobre 1860/ la rendita annua sarà pagata alla cancelleria della R. Legazione di / S.M.S. na in Roma in ogni fine dicembre a vista della presentazione del /coupone corrispondente cominciando dalla fine dicembre 1861/ il capitale è rimborsabile tra anni sei a contare dal gennaio 1861/ elasso tale termine il R. Governo potrà convertire in rendita iscritta sul G.L. del Debito Pubblico ed alla pari i presenti buoni sulla richiesta de’ possessori”

Si tratta tecnicamente di titoli di credito al portatore e dunque, liberamente circolabili, con un tasso di interesse annuo pari al 5% e rimborsabili entro 6 anni. Ciò spiega la presenza dei “cupone” numerati e firmati a mano, accanto alla matrice di alcuni biglietti ancora reperibili. All’atto della riscossione degli interessi annuali, entro il 31 Dicembre, veniva staccato dalla Cedola il “cupone” relativo agli interessi di quell’anno a tacitazione dell’avvenuto pagamento. Laddove per qualunque motivo, gli interessi non fossero stati ricossi, il “cupone” restava accluso alla Cedola come parte integrante di esso. Esistono infatti alcuni rari esemplari presenti in collezioni private e pubbliche, che recano ancora la presenza del “coupone” con accluso il numero progressivo e la firma dell’ispettore generale di Contabilità Orlando.

 La denominazione in franchi, anziché in ducati ne rivela la destinazione al mercato estero, in specie Parigi. Occorre precisare che al cambio storico, la lira italiana equivaleva al franco francese, mentre il rapporto tra ducato e lira era di 4, 25 ma stiamo ancora parlando di lira preunitaria. Invero, fin dal 1806 con un decreto del 21 marzo Napoleone Bonaparte divenuto imperatore dei francesi e re d’Italia,ordina che la moneta del regno d’Italia sia “ uniforme alla moneta legale in corso nel nostro impero di Francia”. In seguito il 6 agosto del 1816 Vittorio Emanuele I di Savoia introduce il sistema monetario napoleonico nei suoi Stati, ordinando che l’unità monetaria legale sia da quel momento la Lira Nuova di Piemonte ( 4,5 grammi di argento fino, con rapporto Au/Ar pari a 1: 15,5). L’intercambiabilità tra lira italiana e franco francese venne poi anche sancita ufficialmente dopo l’Unità d’Italia, da un regio decreto del 24 agosto 1862.

Sotto il profilo nummografico tali emissioni, occorre osservare, pur rappresentando un debito pubblico, nella forma di titolo di Stato a formato cedolare,  possono considerarsi sotto il profilo formale cartamoneta a tutti gli effetti, poiché ne incorporano il taglio fisso, l’esigibilità al portatore e l’immediato potere liberatorio, essendo pagabili a termine solo gli interessi sulla somma indicata sul titolo. Rappresentano inoltre, reperti storici di grande rilievo, sia a causa della loro rarità, (R3 per il taglio da 100 Franchi; R5 per il taglio da 1.000 Franchi) sia per la loro importanza documentale/rappresentativa di quegli eventi, sia come unica testimonianza di emissione cartacea relativa a quel periodo.

 Tornando agli eventi storici, dopo la capitolazione di Gaeta, ( 13 febbraio 1861) Francesco II con la moglie si recò in esilio a Roma via mare, ma poi successivamente si trasferì a Parigi. Visse privatamente senza grandi mezzi economici,perché Garibaldi aveva confiscato immotivatamente tutti i beni dei Borbone ( e su questo ci sarebbe molto da dire…). Il Governo italiano però, ne propose la restituzione a Francesco II ma solo a patto di rinunciare ad ogni pretesa sul trono delle Due Sicilie: ed in questa circostanza Francesco II rispose sdegnato <<…il mio onore non è in vendita!!>>…..Tutto questo viene trascurato dai libri di storia, i quali con colpevole partigianeria, si limitano a declamare l’epopea dei Mille, con enfasi, approssimazione e faziosità.

 Francesco II morì nel 1894 in Trentino, durante uno dei suoi viaggi compiuti per sottoporsi a cure termali, essendo di salute cagionevole. Le spoglie di Francesco II, di Maria Sofia e della loro figlia Maria Cristina, ultima famiglia reale napoletana, dopo varie vicissitudini sono state riunite e riposano nella Basilica di Santa Chiara a Napoli, dal 18 maggio 1984, dove sono state traslate in forma solenne.

Ci sia consentito, rievocare in questa sede, per motivi di connessione logica e cronologica, la fine tragica di tutti gli ufficiali, sottufficiali e soldati semplici, che a seguito della resa di Gaeta, in base a precisi accordi col governo piemontese, avrebbero dovuti essere rilasciati liberi alla fine delle ostilità ed invece, dopo sei mesi di eroica resistenza, subirono un trattamento infame, subendo l’oltraggio del disarmo, degli insulti e degli sputi da parte delle truppe piemontesi, oltre ad essere stati derubati di tutti i loro averi. Inoltre, tutti i militari borbonici, che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, dichiarandosi apertamente fedeli al Re Francesco II con un alto senso dell’onore e della fedeltà militare, su cui ricordiamo, avevano giurato, subirono poi il trattamento più feroce: deportati e rinchiusi nella prigione delle Fenestrelle ( una fortezza posta a 2.000 metri di altezza sulle montagne piemontesi), furono fatti deliberatamente morire per fame, stenti, maltrattamenti, torture e malattie.

Alla base di tali affermazioni, vi è una notevole mole di documenti che emerge dagli Atti Parlamentari, dalle relazioni delle Commissioni di Inchiesta sul “brigantaggio” ( poiché furono definiti “briganti” tutti i civili e i militari che giurarono aperta resistenza ai piemontesi), dai carteggi parlamentari dell’epoca e dagli Archivi di Stato dei capoluoghi in cui si svolsero i fatti.

Si danno tali indicazioni per chi, perplesso od impreparato, intendesse approfondire.

A tali uomini che, a nostro sommesso avviso, si sono coperti di onore e di coraggio, al cospetto della Storia, pagando con la vita e con atroci sofferenze il prezzo di una scelta, è dedicato questo studio.

Sic transit gloria mundi

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