Banca D'Italia "Repubblica Italiana"
La nascita della Repubblica Italiana avvenne a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di stato da dare all'italia dopo la seconda guerra mondiale e che vide 12 717 923 (54,3%) cittadini favorevoli alla repubblica e 10 719 284 (45,7%) cittadini favorevoli alla monorchia I risultati furono proclamati dalla Corte di cassazione il 10 giugno 1946, mentre il giorno successivo tutta la stampa dette ampio risalto alla notizia.
La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi , prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano. L'ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, diretto a Cascais , una città nel sud del Portogallo, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946; lo stesso giorno la Corte integrò i dati delle sezioni mancanti, dando ai risultati il crisma della definitività.
I presunti brogli elettorali ed altre supposte azioni "di disturbo" della consultazione popolare, pur avendo costituito un tema di rivendicazione da parte dei sostenitori della causa monarchica non sono stati mai confermati dagli storici non di parte. Subito dopo il referendum non mancarono scontri provocati dai sostenitori della monarchia, durante i quali si verificarono alcune vittime, come ad esempio a Napoli , in Via Medina
Il 2 giugno 1946 insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. Risultarono votanti 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea
Costituente elesse a Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola , con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana , il 1º gennaio 1948, De Nicola assunse per primo le funzioni di Presidente della Repubblica. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale ed un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi.
Abdicazione ed esilio di Vittorio Emanuele II
Un mese prima del referendum Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto, che venne proclamato re e assunse il nome di Umnerto II. L'atto di abdicazione fu redatto in forma privata, con data del 9 maggio 1946 , e la firma del re fu certificata dal notaio Nicola Angrisani di Napoli
Gli esponenti dei partiti favorevoli alla Repubblica protestarono, ritenendo che l'assunzione dei poteri regali, da parte del luogotenente del Regno, contrastasse con l'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, che prevedeva: "Qualora la maggioranza degli elettori votanti (nel referendum istituzionale, n.d.r.) si pronunci in favore della Monarchia, continuerà l'attuale regime luogotenenziale fino all'entrata in vigore delle deliberazioni dell'Assemblea sulla nuova Costituzione e sul Capo dello Stato".
L'abdicazione di Vittorio Emanuele III e la conseguente cessazione del regime luogotenenziale era stata richiesta dai monarchici nella speranza che la successione a pieno titolo del principe ereditario, figura meno compromessa del padre, prima della consultazione referendaria, potesse attrarre maggior favore popolare.
L'ex re partì immediatamente in esilio volontario ad Alessandra d'Egitto , ove morì due anni dopo. Umberto II confermò la promessa fatta di rispettare il volere liberamente espresso dei cittadini circa la scelta della forma istituzionale, anche se poi non lo accetterà mai.
Il referendum
Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe dunque luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica. I voti validi in favore della soluzione repubblicana furono circa due milioni più di quelli per la monarchia. I ricorsi della parte soccombente furono respinti e le voci di presunti brogli non furono mai confermate.
I votanti furono 24 947 187, pari all'89,1% degli aventi diritto al voto, che risultavano essere 28.005.449. I risultati ufficiali del referendum istituzionale furono: repubblica voti 12 718 641, pari al 54,3%; monarchia voti 10 718 502, pari al 45,7%; voti nulli 1 498 136 Analizzando i dati regione per regione si nota come l'Italia si fosse praticamente divisa in due: il nord, dove la repubblica aveva vinto con il 66,2%, ed il sud, dove la monarchia aveva vinto con il 63,8%.
Non poterono votare coloro che prima della chiusura delle liste elettorali si trovavano ancora al di fuori del territorio nazionale, nei campi di prigionia o di internamento all'estero, né i cittadini dei territori delle province di Bolzano (fatti salvi i comuni di Anterivo , Bronzolo ,Cortaccia,Egna,Lauregno,Magre',Montagna,Ora,Proves,Salorno,Senale-San Felice Trodena allora facenti parte della provincia do Trento ) ,Gorizia , Trieste, Pola,Fiume e Zara in quanto oggetto di contesa internazionale e ancora soggette ai governi militari alleato o jugoslavo. Furono inoltre esclusi coloro che erano rientrati in Italia fra la data di chiusura delle liste (aprile 1945) e le votazioni.
Da tutta Italia le schede elettorali e i verbali delle 31 circoscrizioni sono trasferite a Roma , nella Sala della Lupa di Monetecitorio . Il conteggio avviene in presenza della Corte di cassazione , seduti ad un tavolo a ferro di cavallo, degli ufficiali angloamericani della Commissione alleata e dei giornalisti. Due addetti assommano i dati dei verbali su due macchine calcolatrici, una per la monarchia e una per la repubblica, tenendo una seconda conta a mano.
La Stampa di mercoledì 5 giugno, sotto il titolo «Affermazione della Democrazia Cristiana», ne riporta un altro più piccolo: «La repubblica in vantaggio di 1.200.000 voti» (alla fine il margine sarà più ampio)
Risultati del referendum
Il 10 giugno 1946 la Corte suprema di cassazione proclamò i risultati del referendum, mentre il 18 giugno integrò i dati delle sezioni mancanti ed emise il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e i reclami concernenti le operazioni referendarie[1]:
- Repubblica: 12 717 923 voti (54,3%)
- Monarchia: 10 719 284 voti (45,7%)
- Nulli: 1 498 136 voti
I dati sono suddivisi per circoscrizioni
Circoscrizione | Repubblica | Monarchia |
---|---|---|
Valle d'Aosta | 28 516 | 16 411 |
Torino | 803 191 | 537 693 |
Cuneo | 412 666 | 381 977 |
Genova | 633 821 | 284 116 |
Milano | 1 152 832 | 681 900 |
Como | 422 557 | 241 924 |
Brescia | 404 719 | 346 995 |
Mantova | 304 472 | 148 688 |
Trento | 192 123 | 33 903 |
Verona | 648 137 | 504 405 |
Venezia | 403 424 | 252 346 |
Udine | 339 858 | 199 019 |
Bologna | 880 463 | 793 861 |
Parma | 646 214 | 241 663 |
Firenze | 487 039 | 193 414 |
Pisa | 456 005 | 194 299 |
Siena | 338 039 | 119 779 |
Ancona | 499 566 | 212 925 |
Perugia | 336 641 | 168 103 |
Roma | 711 260 | 740 546 |
L'Aquila | 286 291 | 325 701 |
Benevento | 103 900 | 241 768 |
Napoli | 241 973 | 903 651 |
Salerno | 153 978 | 414 521 |
Bari | 320 405 | 511 596 |
Lecce | 147 376 | 449 253 |
Potenza | 108 289 | 158 345 |
Catanzaro | 338 959 | 514 344 |
Catania | 329 874 | 708 874 |
Palermo | 379 831 | 594 686 |
Cagliari | 206 192 | 321 555 |
Totale | 12 718 641 | 10 718 502 |
Province che non votarono
Provincia | Popolazione |
---|---|
Zara | 25 000 |
Venezia Giulia | 1 300 000 |
Bolzano | 300 000 |
Proclamazione dei risultati
Il 10 giugno, alle ore 18:00, nella Sala della Lupa a Montecitorio a Roma la Corte di Cassazione , secondo quanto attestato dai verbali, proclamò i risultati del referendum, e cioè: 12 672 767 voti per la repubblica, e 10 688 905 per la monarchia. Il verbale, tuttavia, si concludeva con una frase ambigua: “La corte, a norma dell’art. 19 del D.L.L. 23 aprile 1946, n. 219, emetterà in altra adunanza il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e i reclami presentati agli uffici delle singole sezioni e agli uffici circoscrizionali o alla stessa corte concernenti lo svolgimento delle operazioni relative al referendum; integrerà i risultati con i dati delle sezioni ancora mancanti e indicherà il numero complessivo degli elettori votanti e quello dei voti nulli
Il Corriere della sera di martedì 11 giugno titolava: «È nata la Repubblica italiana», riportando i risultati: repubblica 12.718.019, monarchia 10.709.423. La Stampa quotidiano torinese, pubblicava più sobriamente: «Il Governo sanziona la vittoria repubblicana», riportando nel pezzo il dubitativo «c'è da chiedersi se la repubblica sia stata o no proclamata». Contemporaneamente si svolsero in molte città manifestazioni repubblicane.
Immediatamente dopo la proclamazione dei risultati, il Consiglio dei Ministri si riunì, per dare attuazione al 3° comma dell’art. 2 del Decreto Legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98: “Nella ipotesi prevista dal primo comma (cioè la vittoria della repubblica, n.d.r.), dal giorno della proclamazione dei risultati del referendum e fino alla elezione del Capo provvisorio dello Stato , le relative funzioni saranno esercitate dal Presidente del Consiglio dei Ministri in carica nel giorno delle elezioni”. Dopo lunga discussione si giunse alla decisione che, prima di procedere in tal senso, sarebbe stata opportuna, per motivi di cortesia istituzionale, la sottoposizione ad Umberto II del seguente documento: “Preso atto della proclamazione dei risultati del referendum fatta dalla Corte di Cassazione, tenuto conto che questi risultati, per dichiarazione della stessa Corte di Cassazione, sono suscettibili di modificazione e di integrazione, nel supremo interesse della concordia degli italiani, si consente che, fino alla proclamazione dei risultati definitivi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, on.le Alcide De Gasperi , eserciti i poteri del Capo dello Stato, di cui all’art. 2, DLL 16 marzo 1946, n. 98, secondo i principi dell’attuale ordinamento costituzionale”. Il documento fu sottoposto l’11 giugno da De Gasperi alla visione di Umberto II che si riservò di decidere per il giorno dopo
Contemporaneamente, a Napoli città con un'elevata percentuale di popolazione di preferenza monarchica, i risultati del referendum accesero gli animi e la contestazione monarchica si trasformò in una battaglia per le strade . Un corteo cercò di assaltare la sede del PC in via Medina per togliere una bandiera tricolore esposta priva dello stemma sabaudo, ma raffiche di mitragliatrice, sparate da un'autoblindo della polizia che cercava di mantenere l'ordine pubblico, uccisero nove manifestanti, mentre altri 150 rimasero feriti
Nella tarda mattinata del 12 giugno giunse al Presidente del Consiglio la risposta scritta del Quirinale nella quale il re dichiarava che avrebbe rispettato: “il responso della maggioranza del popolo italiano espresso dagli elettori votanti, quale” sarebbe risultato “dal giudizio definitivo della Corte Suprema di Cassazione”; non avendo la corte indicato il numero complessivo degli elettori votanti e quello dei voti nulli, secondo il sovrano, non era ancora certo se la scelta repubblicana, pure in netto vantaggio, rappresentasse la maggioranza degli elettori votanti. Sino al giorno della proclamazione dei risultati definitivi, pertanto, Umberto auspicava “di poter continuare in quella collaborazione intesa a mantenere quanto è veramente indispensabile: l’Unità d’Italia
Al contrario, la lettera e le proteste dei monarchici, come quelle represse sanguinosamente il giorno prima a Napoli e una nuova manifestazione monarchica dispersa lo stesso 12 giugno, suscitarono le preoccupazioni dei ministri intenzionati quanto prima all'insediamento della repubblica (secondo la celebre frase del leader socialista Pietro Nenni «o la repubblica o il caos!»)
De Gasperi Capo provvisorio dello Stato repubblicano
Il 13 giugno, il Consiglio dei mnistri - riunito dalla notte precedente - stabilì che, a seguito della proclamazione dei risultati data il 10 giugno, da parte della Corte di cassazione , le funzioni di Capo provvisorio dello Stato , in base all'art. 2 del decreto lergislativo luogotenenziale nº 98 del 16 marzo 1946, dovevano essere già assunte ope legis dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi , nonostante il rinvio della comunicazione dei dati definitivi. Secondo il parere della maggioranza dei ministri, infatti, sarebbe stato assurdo non rivestire di alcuna rilevanza l'annuncio del 10 giugno 1946, che altrimenti la Cassazione avrebbe potuto non dare.
Il ministro del tesoro, il liberale,Epicarmo Corbino dichiarò: "In definitiva la questione riguarda soprattutto la persona di De Gasperi: vorrei sapere se si rende conto della responsabilità che si assume con questo ordine del giorno". Di fronte alla risposta positiva del Presidente del Consiglio si procedette alla votazione che ottenne la totalità dei voti favorevoli dei membri del governo, con l'unica eccezione del ministro liberale Leone Cattani.
Secondo i monarchici, invece, il governo non volle attendere la seduta della Corte di Cassazione fissata per il 18 giugno perché, con questa proroga di tempo, sarebbe stato possibile un ricontrollo delle schede elettorali, ricontrollo che avrebbe portato alla luce eventuali brogli[46] che, peraltro, non furono mai accertati.
Proclama e partenza dell'ex re
Dopo che il consiglio dei ministri, nella notte fra il 12 ed il 13 giugno, aveva trasferito le funzioni di Capo dello Stato ad Alcide De Gasperi senza attendere il pronunciamento definitivo della Corte di Cassazione, Umberto II diramò un proclama nel quale denunciò la presunta illegalità commessa dal governo, ed il giorno stesso partì polemicamente in aeroplano da Ciampino alla volta del Portogallo , con decisione unilaterale.
In base al decreto di indizione del referendum, la forma istituzionale vincitrice avrebbe dovuto aggiudicarsi la maggioranza degli elettori votanti. L'irregolarità segnalata da Umberto II di Savoia sarebbe consistita nel non aver preso in considerazione il numero delle schede nulle - perché ancora non reso noto dalla Corte di Cassazione - nel calcolo della maggioranza degli elettori votanti. Secondo l'interpretazione sostenuta dai monarchici, infatti, tale espressione doveva intendersi come "la maggioranza dei consensi nella somma dei voti a monarchia, repubblica, schede bianche e schede nulle". Quest'ultima interpretazione avrebbe consentito il mantenimento della forma istituzionale monarchica anche in caso di sconfitta, qualora la repubblica, pur maggioritaria, non avesse raggiunto la metà più uno dei voti, conteggiando per valide anche le schede bianche o nulle; ma anche il mantenimento del regime monarchico (a rigore: "il regime luogotenenziale"), in base all'art. 2 del decreto, era subordinato al conseguimento della maggioranza degli elettori votanti da parte della monarchia e, pertanto, l'interpretazione di conteggiare anche le schede bianche e nulle tra i votanti non sembra coerente con il contesto normativo, perché ne sarebbe potuto risultare uno scenario senza alcun vincitore. Sarà infatti respinta cinque giorni dopo (il 18 giugno) dalla Corte di Cassazione e comunque si rivelerà ininfluente, visto il distacco conseguito dalla scelta repubblicana sui voti espressi in favore della monarchia nel risultato referendario definitivo.
Benché da più parti gli fossero pervenuti inviti a resistere, Umberto preferì comunque prendere atto del fatto compiuto, valutando che l'alternativa poteva essere l'innesco di una guerra civile fra monarchici e repubblicani, soprattutto a seguito dei fatti di Napoli ed essendo stato informato dal generale Maurice Stanley Lush che gli angloamericani non sarebbero intervenuti a difesa della sua incolumità neanche in caso di palese spregio delle leggi. L'ex re inizialmente ventilò che il suo allontanamento poteva essere anche soltanto temporaneo pro bono pacis Tuttavia, nel proclama diffuso prima di partire, affidò la patria agli italiani (e non ai loro rappresentanti eletti democraticamente) e sciolse i militari e i funzionari dello Stato dal precedente giuramento di fedeltà al re.
Anche dopo l'ufficializzazione definitiva dei risultati, effettuata dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946, l'ex re non riconobbe la validità del referendum e ne rifiutò l'esito, nonostante le assicurazioni rese prima della consultazione e nei giorni successivi. Non abdico' mai, ma tale evenienza non era prevista nel decreto legislativo luogotenenziale nº 98 del 16 marzo 1946 in caso di vittoria repubblicana.
Il proclama di Umberto II del 13 giugno 1946
Integrazione dei dati e giudizio definitivo sulle contestazioni
Alle ore 18:00 del 18 giugno, nell'Aula della Lupa di Montecitorio a Roma, la Corte di Cassazione, con dodici magistrati contro sette, stabilì che per maggioranza degli elettori votanti, prevista dalla legge istitutiva del referendum (art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale nº 98 del 16 marzo 1946), si dovesse intendere la maggioranza dei voti validi, cioè la maggioranza dei consensi senza contare il numero delle schede bianche e delle nulle, che furono considerati voti non validi. La Suprema Corte, quindi, respinse i ricorsi dei monarchici e procedé alla pubblicazione dei risultati definitivi della consultazione referendaria: 12 717 923 voti favorevoli alla repubblica; 10 719 284 voti favorevoli alla monarchia e 1 498 136 voti nulli. Anche tenendo conto delle schede bianche o nulle, pertanto, la Repubblica aveva conseguito la maggioranza assoluta dei votanti, rendendo ininfluente ogni discussione sotto il profilo giuridico interpretativo.
Nel 1960 Giuseppe Pagano, presidente della Corte di Cassazione il 18 giugno 1946, ma facente parte della fazione risultata minoritaria nella votazione, in un'intervista a Il tempo di Roma affermò che la legge istitutiva del referendum era di applicazione impossibile, in quanto non dava il tempo alla Corte di svolgere i suoi lavori di accertamento, e ciò fu reso ancor più evidente dal fatto che numerose corti di appello non riuscirono a mandare i verbali alla Cassazione entro la data prevista. Inoltre, «l'angoscia del governo di far dichiarare la repubblica era stata tale da indurre al colpo di Stato prima che la Corte Suprema stabilisse realmente i risultati validi definitivi». Secondo il magistrato, tuttavia, non vi furono brogli; anche l'accoglimento della sua posizione, infatti «non avrebbe mai potuto spostare la maggioranza a favore della monarchia, poteva soltanto diminuire sensibilmente la differenza tra il numero dei voti a favore della monarchia e quello dei voti a favore della repubblica»
Il sospetto di brogli elettorali
Un recente studio basato su un'analisi statistica del voto (applicando la legge di Brenford e simulazioni) a livello di singolo comune indica che la probabilità che siano avvenuti brogli elettorali è prossima allo zero.
I monarchici attribuirono la sconfitta a tali presunti brogli e a scorrettezze nella convocazione dei comizi e nello svolgimento del referendum. Stime monarchiche valutano in circa tre milioni i voti che andarono persi per diverse ragioni, numero maggiore della differenza tra l'opzione repubblicana e quella monarchica
Alcuni storici sostengono una ricostruzione che vede Togliatti intervenire per ritardare il rientro in Italia dei reduci dai campi di prigionia russi, in quanto ne avrebbe temuto le testimonianze ai fini del voto
Tra le anomalie più rilevanti secondo i monarchici vi furono le seguenti.
- Molti prigionieri di guerra si trovavano ancora all'estero e quindi impossibilitati a votare. Il referendum sarebbe quindi stato indetto intenzionalmente senza attenderne il rientro.
- Parte delle province orientali (Trieste Gorizia e Bolzano ) non erano ancora state restituite alla sovranità italiana, e quindi, il risultato sarebbe stato da considerarsi soltanto parziale. Si trattava peraltro di province appartenenti all'area settentrionale (nella quale il voto repubblicano aveva ottenuto generalmente un'ampia maggioranza).
- I primi risultati pervenuti indicavano una netta prevalenza di voti a favore della monarchia, in particolare i rapporti dell'Arma dei Carabinieri provenienti direttamente dai seggi elettorali.
- Analisi statistiche avrebbero poi evidenziato come il numero dei voti registrati fosse superiore a quello dei possibili elettori. Nel disordine generale seguito alla guerra, pare possibile che un numero di elettori abbia usato documenti d'identità falsi, per votare più volte.
Nessuna delle suddette anomalie implica necessariamente una penalizzazione del voto monarchico o una frode a favore della repubblica: è infatti del tutto impossibile sapere a chi sarebbero andati i voti mancati, o a favore di quale delle due opzioni siano stati espressi i presunti voti duplicati, né si conosce il grado di rappresentatività del campione dei primi risultati e dei rapporti dei Carabinieri.
I monarchici presentarono numerosi reclami giudiziari, che vennero però respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946
Prime istituzioni repubblicane
Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato
Come detto, il 2 e 3 giugno, contemporaneamente al referendum istituzionale, si tennero le elezioni per l'Assemblea Costituente , che dettero una maggioranza di gran lunga superiore ai partiti favorevoli alla repubblica, in quanto, tra i componenti il Comitato di liberazione nazionale, il solo Paritto liberale Italiano si era pronunciato in favore della monarchia.
In base al più volte citato art. 2, D.L.Lgt. n. 98/1946 l'Assemblea, nella sua prima riunione del 28 giugno 1946 , elesse a Capo Provvisorio dello Stato, l'on.Enrico De Nicola , con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana , De Nicola assumerà per primo le funzioni di Presidente della Repubblica Italiana (1º gennaio 1948).
Sempre ai sensi dell'art. 2, D.L.Lgt. n. 98/1946, il Governo presentò le proprie dimissioni nelle mani del nuovo Capo Provvisorio dello Stato che, successivamente conferì a De Gasperi l'incarico di formare il primo Governo dela Repubblica Italiana
Il 15 luglio 1946 il presidente dell'Assemblea Costituente, Giusepoe Saragat , leggeva il primo messaggio del Capo dello Stato Enrico de Nicola.
Messaggio del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, all'Assemblea Costituente, 15 luglio 1946:
« Giuro davanti al popolo italiano, per mezzo della Assemblea Costituente, che ne è la diretta e legittima rappresentanza, di compiere la mia breve, ma intensa missione di Capo provvisorio dello Stato inspirandomi ad un solo ideale: di servire con fedeltà e con lealtà il mio Paese. Per l’Italia si inizia un nuovo periodo storico di decisiva importanza. All’opera immane di ricostruzione politica e sociale dovranno concorrere, con spirito di disciplina e di abnegazione, tutte le energie vive della Nazione, non esclusi coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe. Dobbiamo avere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo: della nostra infrangibile unione. Con essa potremo superare le gigantesche difficoltà che s’ergono dinanzi a noi; senza di essa precipiteremo nell’abisso per non risollevarci mai più. I partiti – che sono la necessaria condizione di vita dei governi parlamentari – dovranno procedere, nelle lotte per il fine comune del pubblico bene, secondo il monito di un grande stratega: Marciare divisi per combattere uniti.
La grandezza morale di un popolo si misura dal coraggio con cui esso subisce le avversità della sorte, sopporta le sventure, affronta i pericoli, trasforma gli ostacoli in alimento di propositi e di azione, va incontro al suo incerto avvenire. La nostra volontà gareggerà con la nostra fede. E l’Italia – rigenerata dai dolori e fortificata dai sacrifici – riprenderà il suo cammino di ordinato progresso nel mondo, perché il suo genio è immortale. Ogni umiliazione inflitta al suo onore, alla sua indipendenza, alla sua unità provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino coloro che sono oggi gli arbitri dei suoi destini. Se è vero che il popolo italiano partecipò a una guerra, che – come gli Alleati più volte riconobbero, nel periodo più acuto e più amaro delle ostilità – gli fu imposta contro i suoi sentimenti, le sue aspirazioni e i suoi interessi, non è men vero che esso diede un contributo efficace alla vittoria definitiva, sia con generose iniziative, sia con tutti i mezzi che gli furono richiesti, meritando il solenne riconoscimento – da chi aveva il diritto e l’autorità di tributarlo – dei preziosi servigi resi continuamente e con fermezza alla causa comune, nelle forze armate – in aria, sui mari, in terra e dietro le linee nemiche. La vera pace – disse un saggio – è quella delle anime. Non si costruisce un nuovo ordinamento internazionale, saldo e sicuro, sulle ingiustizie che non si dimenticano e sui rancori che ne sono l’inevitabile retaggio. La Costituzione della Repubblica italiana – che mi auguro sia approvata dall’Assemblea, col più largo suffragio, entro il termine ordinario preveduto dalla legge – sarà certamente degna delle nostre gloriose tradizioni giuridiche, assicurerà alle generazioni future un regime di sana e forte democrazia, nel quale i diritti dei cittadini e i poteri dello Stato siano egualmente garantiti, trarrà dal passato salutari insegnamenti, consacrerà per i rapporti economico-sociali i principi fondamentali, che la legislazione ordinaria – attribuendo al lavoro il posto che gli spetta nella produzione e nella distribuzione della ricchezza nazionale – dovrà in seguito svolgere e disciplinare. Accingiamoci, adunque, alla nostra opera senza temerarie esaltazioni e senza sterili scoramenti, col grido che erompe dai nostri cuori pervasi dalla tristezza dell’ora ma ardenti sempre di speranza e di amore per la Patria: Che Iddio acceleri e protegga la resurrezione d’Italia! » |
La Costituzione della Repubblica
La nuova costituzione repubblicana , approvata dall'Assemblea Costituente ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948 statuisce, all'art. 1: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Sancisce, inoltre, all'art. 139, che: "La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale".
La carta fu integrata con alcune disposizioni transitorie, fra cui la I, che prescriveva: "Con l'entrata in vigore della Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le attribuzioni di Presidente della Repubblica e ne assume il titolo". Inoltre, la XIII disposizione transitoria stabiliva il divieto di entrare in Italia per gli ex re, le loro consorti e i loro discendenti maschi.
L'efficacia di questa disposizione cessò con l'entrata in vigore della Legge Costituzionale 23 ottobre 2002 n. 1, dopo un dibattito in parlamento e nel Paese durato molti anni e Vittorio Emanuele di Savoia figlio di Umberto II, poté entrare in Italia con la sua famiglia già nel dicembre successivo per una breve visita. L'ex regina Maria Jose del Belgio era già stata autorizzata a rientrare in Italia nel 1987 in quanto, con la scomparsa del marito Umberto ed essendo rimasta vedova si riconobbe come cessato il suo status di "consorte".