il Ritorno Della Conversione Lira/Euro Una Querelle Tutta Italiana

 

Era il 1° gennaio 2002 quando faceva ingresso nel nostro paese e negli altri stati dell’Unione Europea, una nuova moneta, dal nome esotico, EURO, che di li a poco, sarebbe diventata familiare nelle tasche di oltre 330 milioni di cittadini europei.

Il termine per la cessazione del corso legale della nostra LIRA era stabilito per il 28 febbraio 2002, quindi per due mesi la nostra cara vecchia “Signora” ha condiviso un percorso di doppia circolazione con la nuova premiere etoile dell’Unione, tra il mess del corso parallelo e l’horror vacui delle iconografie architettoniche della nuova divisa monetaria comune, molto diversa dalla nostra precedente, che ci aveva abituati ai volti umani e ieratici dei grandi artisti, scienziati ed umanisti del passato: nasceva una nuova epoca, quella della Unione monetaria Europea.

Il termine previsto per la conversione definitiva delle lire in euro ( al coefficiente di 1936,27 lire per ogni nuova unità monetaria) era determinato in base a provvedimenti di natura legislativi per il 29 febbraio 2012 (termine di prescrizione del cambio).

Tutto sembrava scorrere in modo apparentemente sereno, ma in modo del tutto inaspettato e sconcertante, il giorno 6 dicembre 2011 un decreto legge del Governo Monti, ( nella specie l’art 26 del D.L. 6.12.2011  n.201 recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”  – cd. decreto “salva Italia”- ) anticipava di ben tre mesi la cessazione di convertibilità delle lire in euro, che come detto, sarebbe dovuta avvenire il 29 febbraio 2012.

Un estratto del decreto citato così recita ( anzi….recitava!!)

“ In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3,commi 1 ed 1 bis, della legge 7 aprile 1997, e dell’articolo 52 ter, commi 1 ed 1 bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998 n.213, le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere ri-assegnato al Fondo ammortamento dei titoli di Stato”   

Ciò ha significato che alla data del 6 dicembre 2011 sono rimasti esclusi, illico et immediate, dalla conversione monetaria, ben 1,3 MILIARDI circa, di controvalore in euro. Ciò, per contribuire all’aumento delle garanzie da parte dello Stato sui creditori esteri nonché per diminuire, sia pure in modo trascurabile, il nostro debito pubblico, tra i primi al mondo per ammontare e consistenza. 

A nulla valsero in quel periodo le proteste e le ferme rimostranze dei cittadini, delle associazioni dei consumatori e dei partiti politici di opposizione, che denunciarono pubblicamente ciò che è stato da tutti apostrofato come un chiaro abuso nell’esercizio delle funzioni legislative di governo. Infatti, nessuna contromisura fu adottata in quel periodo per venire incontro a quei cittadini, che legittimamente lamentavano una violazione dei loro diritti costituzionali. Anzi, il quel clima di ritrovata austerity e di spending review, i media diedero scarsissima importanza a questo evento, ponendolo nel comodo “dimenticatoio” delle notizie scomode.

Tuttavia, come in genere accade nei migliori drammi nostrani, non tutti cedettero al ricatto istituzionale ed un gruppo di cittadini, dopo aver invano tentato di convertire in euro le loro banconote presso tutti gli sportelli della Banca d’Italia, dopo l’entrata in vigore del decreto n.201/2011, carta bollata alla mano, decise di adire la giustizia ordinaria ( nella specie il Tribunale di Milano per competenza territoriale), per vedersi riconosciuto il diritto alla conversione, oltre al legittimo risarcimento dei danni. Ed infatti, in sede di primo grado di giudizio, il giudice accordò loro ragione. Ma la vicenda giudiziaria è poi proseguita e dopo un complesso ed articolato iter giudiziario, è approdata nelle ovattate stanze della Corte Costituzionale a Roma, la quale con la sentenza n. 216 del 5 novembre 2015,  ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 26 del decreto legge citato ( poi convertito nella Legge n.214 del 22.11.2011), sulla base di tutta una serie di considerazioni che possono qui essere sintetizzate.

Nel percorso argomentativo seguito dai giudici della Consulta, si scorgono ben tre motivi di incostituzionalità, rispettivamente la violazione dell’articolo 42 della Costituzione italiana, la violazione dell’art 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), nonché la violazione dell’art 3 della Costituzione italiana e ciò in quanto secondo l’autorevole consesso “la norma….realizzerebbe di fatto, una sorta di espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire ,della quale beneficiano in prima battuta lo Stato, mediante il trasferimento del relativo controvalore al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato ed in ultima analisi i possessori dei titoli del debito pubblico, che vedono così rafforzata la garanzia dei loro crediti”

A parte ogni ulteriore considerazione di natura economica e finanziaria che si potrebbe ( e dovrebbe) svolgere a latere del provvedimento governativo censurato, emerge un problema da risolvere nell’immediato, poiché come è stato osservato, tale sentenza pone in una delicata situazione la Banca d’Italia, che aveva in passato già trasferito l’ammontare delle lire residue non ancora rientrate, pari al valore di 1,3 MILIARDI di euro, al Fondo Ammortamento Debito Pubblico, con il quale lo Stato ha garantito i suoi creditori.

Pertanto, sorgono spontanee alcune ed inquietanti domande:

1)    Chi pagherà la conversione delle restanti lire se questi soldi sono già stati usati dallo Stato in modo “anticipato”?

2)    Non potendo tecnicamente pagare di nuovo la Banca d’Italia ai possessori di lire, soldi che essa ha già versato in via anticipata allo Stato, sarà dunque lo Stato stesso a dover sborsare la somma di 1,2 MILIARDI di euro, dal suo bilancio? E secondo quali criteri e modalità?

In attesa di una soluzione adeguata che sbrogli la intricata matassa, Bankitalia ha dichiarato ufficialmente che “approfondimenti sono in corso, per valutare come dare attuazione alla sentenza”.

Intanto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dopo 2 mesi dalla citata sentenza, ha inviato “istruzioni” alla Banca d’Italia, in merito alle modalità e alle condizioni con cui attuare la conversione delle lire in euro, in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale, stabilendo che  l’istituto centrale è autorizzato a cambiare le vecchie lire in euro – purchè appartenenti all’ultima serie circolante prima dell’avvento del nuovo modulo monetario – “a chi sia in grado di  dimostrare di aver presentato la richiesta di cambio tra il 6 dicembre 2011 ed il 28 febbraio 2012, specificandone l’importo”.  Pertanto, “ chiunque sia in possesso di tale documentazione può effettuare presso una delle filiali della Banca d’Italia che svolgono il servizio di tesoreria di Stato portando le lire da convertire”.

Tuttavia, nonostante tale limitata finestra operativa ( di cui hanno finora peraltro usufruito poche centinaia di persone e su cui si rimanda ad un interessante saggio di Roberto Faben “Indimenticabile Lira” cui questo nostro studio è in parte debitore), resta sul tappeto la questione, fondamentale, che concerne tutti quei cittadini i quali facendo legittimo affidamento sui termini iniziali della normativa e pertanto non essendo provvisti di documentazione probante, si sono visti precludere in modo surrettizio, sulla base di questo escamotage tecnico, la possibilità di richiedere la conversione delle loro lire in euro. Secondo quando dichiarato dalla Banca d’Italia “ Operazioni di cambio avanzate da persone che non sono in grado di dimostrare di aver presentato una richiesta di conversione entro i termini originari non sono previste nell’attuale quadro normativo e richiedono pertanto l’introduzione di uno specifico provvedimento legislativo”.

Sul versante numismatico, fin da ora, già si nota una “rarefazione” sul mercato collezionistico, dei biglietti interessati dalla vicenda, i quali saranno convertiti al loro valore facciale secondo il coefficiente di conversione già stabilito (1936,27) a prescindere da ogni valutazione circa il loro taglio o conservazione.

A questo punto della storia, tuttavia, si impongono alcune considerazioni finali in fatto ed in diritto:

1)    La decisione assunta dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze e poi trasmessa alla Banca d’Italia mediante istruzioni, è a nostro parere, del tutto irragionevole oltre che illegittima, in quanto sulla base di una mera normativa di natura tecnica, contenuta in un atto amministrativo generale, non può incidere su atti di natura legislativa, nella specie la Legge n. 96/1997 ed il d. lgs. N. 213/98 già citati, i quali, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della Consulta, riprendono il loro pieno vigore ed in quanto tali, non possono essere posti entro un canone di applicazione condizionata a determinati regimi probatori precostituiti, il cui onere non può essere in modo surrettizio ed irragionevole, posto in capo al cittadino, ai fini dell’ottenimento di un proprio diritto già riconosciuto ed acquisito a livello legislativo.

2)    La replica/precisazione della Banca d’Italia, secondo la quale, altre modalità non documentali di richiesta di cambio non sono accoglibili, se non in conseguenza di uno specifico provvedimento legislativo ad hoc, lede non solo il principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, ma determina una evidente difformità di trattamento del tutto irragionevole, tra un cittadino che può vantare un sostrato cartolare ed un cittadino che non sia in grado di esibirlo, peraltro senza che la legge abbia mai richiesto tale onere. Inoltre, una autorità amministrativa indipendente, quale è Bankitalia, non può attribuirsi motu proprio, la facoltà di dedurre in modo unilaterale, una implementazione sentenziale o normativa, derivandone precetti indiretti di condotta, ma solo dare corso, con diligenza ed imparzialità ( ex art. 97 comma 2 Cost), a quanto demandatole in virtù delle sue competenze istituzionali e questa esondazione, per quanto supportata dalle istruzioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, si porrebbe ai limiti dell’abuso di potere, secondo la nozione che ne dà la giurisprudenza del Consiglio di Stato.

3)    In merito alla sentenza della Corte Costituzionale, appare ictu oculi, dal tenore letterale e logico della stessa, che non viene posta alcuna condizione, modalità o limite in ordine alla attivazione del diritto alla conversione delle lire in euro, e pertanto dalla espunzione dall’ordinamento giuridico dell’art 16 del D. L. n.201/2011 ne consegue, sic et simpliciter, come posizione acquisita, la piena operatività del diritto alla legittima conversione delle lire in euro, anche perché non è più dimostrabile, in base al principio di ragionevolezza, se non creando evidenti disparità di trattamento, chi e come, uti singulis, entro il termine originario di prescrizione del 29 febbraio 2012, avrebbe richiesto il cambio delle lire possedute nella nuova divisa monetaria, nei termini indicati.

Ne consegue il necessario e logico riconoscimento del diritto a chiunque e senza condizioni, seppur entro un termine ragionevole, di poter, ora per allora, conseguire la legittima conversione delle proprie lire ( frutto della propria attività lavorativa, peraltro costituzionalmente tutelata ex art 35 comma 1°) nella nuova divisa monetaria.

Si resta in attesa delle prossime novità legislative. E così, secondo il mos italicus, l’avventura continua…..

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