I Re D'Italia Dall'Unita' Alla Repubblica 1860-1946

 

 

Vittorio Emanuele II di Savoia

 
Vittorio Emanuele II di Savoia (Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia; Torino ,14 marzo 1820 – Roma, 9 gennaio 1878) è stato l'ultimo Re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo Re d'Italia (dal1861 al 1878). Dal 1849 al 1861 fu inoltre Principe di Piemonte, Duca di Savoia e Duca di Genova . Per non aver abrogato lo Statuto Albertino gli venne dato l'appellativo di Re galantuomo o Re gentiluomo, appellativo con cui è ricordato tutt'oggi. Egli, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso conte di Cavour  , portò infatti a compimento il Risorgimento nazionale  e il processo di unificazione Italiana . Per questi avvenimenti viene indicato come "Padre della Patria". A lui è dedicato il monumento nazionale eponimo del Vittoriano, sito a Roma , in piazza Venezia.

IL Re Galantuomo

 

 

Dopo la sconfitta di Novara e l'abdicazione di Carlo Alberto si iniziò a definire Vittorio Emanuele II il re galantuomo, che animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle libertà costituzionali si oppose fieramente alle richieste di Radetzky di abolire lo Statuto albertino.

« ...ma negli archivi austriaci si scopriranno alcuni rapporti scritti allora da Radetzky, dal barone von Metzburg e dal barone d'Aspre, che forniranno un quadro assai differente da quello che Vittorio Emanuele aveva cercato di accreditare a giustificazione della propria condotta. Secondo la versione allora accolta, era stata la fermezza del nuovo re nelle trattative per l'armistizio di Vignale a salvare lo statuto piemontese che Radetzky aveva sperato di fargli abrogare. Ma questa versione si rivelava adesso una falsificazione dei fatti: gli austriaci avevano anch'essi un governo costituzionale, e Radetzky non tentò affatto di costringere i piemontesi a rinunciare allo statuto. Se questi ottennero condizioni di pace abbastanza buone, ciò fu dovuto non già a una coraggiosa resistenza del re, ma soprattutto alla necessità in cui gli austriaci si trovavano ad essere generosi per non gettare Vittorio Emanuele tra le braccia della Francia o dei rivoluzionari. Gli austriaci volevano un Piemonte amico per ottenere una pace durevole nella penisola italiana e farsene un alleato contro la Francia repubblicana. Essi avevano soprattutto bisogno di appoggiare il re contro i radicali in Parlamento. »

Il giovane re si dichiarò infatti amico degli austriaci e rimproverando al padre la debolezza di non aver saputo opporsi ai democratici prometteva una dura politica nei loro confronti con l'abolizione dello statuto.

« La verità pertanto è che Vittorio Emanuele non salvò patriotticamente la costituzione, ma al contrario disse di voler diventare amico degli Austriaci e ristabilire a un maggior grado il potere monarchico. »

Questa nuova versione della figura del sovrano è emersa con la scoperta e la pubblicazione di documenti diplomatici austriaci su i colloqui tenutosi a Vignale nei quali il generale Radetzky il 26 marzo scriveva al governo di Vienna:

« Il re ebbe ieri l'altro un personale colloquio con me agli avamposti, nel quale dichiarò apertamente la sua ferma volontà di voler da parte sua dominare il partito democratico rivoluzionario, al quale suo padre aveva lasciato briglia sciolta, così che aveva minacciato lui stesso e il suo trono; e che per questo gli occorreva soltanto un po' più di tempo, e specialmente di non venir screditato all'inizio del suo regno [...] Questi motivi sono tanto veri che io non potei metterli in dubbio, perciò cedetti e credo di aver fatto bene, perché senza la fiducia del nuovo re e la tutela della sua dignità nessuna situazione nel Piemonte può offrirci una garanzia qualsiasi di tranquilltà del paese per il prossimo avvenire. »

Questa rappresentazione del re come illiberale sarebbe confermata da quanto scritto in una lettera privata al nunzio apostolico del novembre del 1849 dove il re dichiara di

« non vedere alcuna utilità nel governo costituzionale, anzi di non attendere altro che il momento opportuno per disfarsene »

Charles Adrien His De Butenval, plenipotenziario francese a Torino scrisse il 16 ottobre 1852 a Parigi che Vittorio Emanuele è un reazionario che si serve dello Statuto per mantenere come sostenitori e alleati di sé e della sua dinastia gli inquieti emigrati italiani e i liberali rifugiatisi a Torino dopo i fatti del 1848-49 dei quali egli si atteggia a protettore perché gli verranno utili per giustificare una futura guerra regia di conquista.

Opposta a questa versione dell'incontro tra il re e il generale Radetzky riportati da Denis Mack Smith vi è quella del generale Thaon do Revel  che, un mese dopo il colloquio di Vignale, ebbe modo di incontrarsi con Vittorio Emanuele II a Stupinigi. «Il Re -scrive il generale- venne a parlarmi delle moine adoperate dal Maresciallo nel convegno, per indurlo ad abrogare lo Statuto; rideva accennando all'illusione del vecchio che aveva creduto sedurlo con maniere obbliganti e con ampie promesse, fino al punto di offrirgli quarantamila baionette austriache se avesse avuto bisogno di ricondurre il buon ordine nel suo Stato.»

Una spiegazione del comportamento del re nell'armistizio di Vignale è attribuita a Massimo d'Azeglio il quale avrebbe giudicato un «liberalismo malcerto» quello del sovrano che avrebbe affermato: «Meglio essere re in casa propria, sia pure con le limitazioni costituzionali che essere un protetto di Vienna.»

Una branca della storiografia afferma che Vittorio Emanuele, pur di sentimenti assolutisti, abbia mantenuto le istituzioni liberali per lungimiranza politica, capendone la grande importanza nell'amministrazione dello stato. La riprova di ciò sta anche nella lunga collaborazione fra il Re e il Presidente del Consiglio Camillo Benso conte di Cavour, divisi fortemente dalle diverse posizioni politiche (assolutismo e liberalismo):

« ...cresciuto nell'assolutismo, Vittorio Emanuele II non prova simpatia per ciò che limita l'autorità sovrana. Nel suo approccio pragmatico alla politica, ci sono però considerazioni rilevanti che lo spingono ad appoggiarsi al liberalismo moderato conservando lo Statuto. In primo luogo, la monarchia sabuda ha dimostrato inefficienza nelle guerre 1848-49 e non ha il prestigio necessario per una politica di pura conservazione. In secondo luogo, per sconfiggere il movimento democratico, che rappresenta il pericolo maggiore, la monarchia deve allargare la base sociale del suo consenso e rinnovare la classe dirigente. In terzo luogo, nella prospettiva di riprendere la guerra contro l'Austria, occorre fare del Piemonte il riferimento delle forze più attive della penisola e ottenere l'appoggio internazionale di Paesi come l'Inghilterra o la Francia, che non appoggerebbero un governo reazionario. [...] In questa situazione, confermare la svolta costituzionale è non solo la scelta più opportuna, ma anche quella meno conflittuale, perché stabilizza i nuovi equilibri che sono venuti maturando nel Piemonte degli anni Quaranta »

Peraltro un'altra recente ricostruzione delle trattative di Vignale sostiene che:

« Nel 1848, a Vignale, Radetzky gli aveva proposto [a Vittorio Emanuele] di trasformare la sconfitta in vittoria: nuove terre in cambio della soppressione dello Statuto e della rinuncia di una futura rivoluzione nazionale. Il giovane sovrano rifiutò. »

La sovracitata lungimiranza politica, che lo portò a contraddire i propri principi, sarebbe quindi l'origine del termine "Re galantuomo".

 

Arrivo di Cavour

Già candidatosi al parlamento nell'aprile 1848 , Cavour vi entrò in giugno dello stesso anno, mantenendo una linea politica indipendente, cosa che non lo escluse da critiche ma che lo mantenne in una situazione di anonimato fino alla proclamazione delle leggi Siccardil, che prevedevano l'abolizione di alcuni privilegi relativi alla Chiesa, già abrogati in molti stati europei. L'attiva partecipazione del Cavour alla discussione sulle leggi ne valse l'interesse pubblico, e alla morte di Pietro De Rossi Di Santarosa , egli divenne nuovo ministro dell'agricoltura, cui si aggiunse la carica, dal 1851, di ministro delle finanze  del governo d'Azeglio.

Promotore del cosiddetto connubio, Cavour divenne il 4 novembre 1852 presidente del Consiglio del Regno, nonostante l'avversione che Vittorio Emanuele II nutriva nei suoi confronti. Nonostante l'indiscusso connubio politico, fra i due mai corse grande simpatia, anzi Vittorio Emanuele più volte ne limitò le azioni, arrivando persino a mandargli in fumo svariati progetti politici, alcuni dei quali anche di notevole portata

Secondo Chiala, quando La Marmora propose a Vittorio Emanuele la nomina di Cavour a Presidente del Consiglio, il Re avrebbe risposto in piemontese: «Ca guarda, General, che côl lì a j butarà tutii con't le congie a'nt l'aria» ("Guardi Generale, che quello lì butterà tutti con le gambe all'aria"). Secondo Ferdinando Martini, che lo seppe da Minghetti, la risposta del Sovrano sarebbe stata ancora più colorita: «E va bin, coma ch'aa veulo lor. Ma ch'aa stago sicur che col lì an poch temp an lo fica an't el prònio a tuti!» ("E va bene, come vogliono loro. Ma stiamo sicuri che quello lì in poco tempo lo mette nel culo a tutti!"). Una versione che somiglia di più al personaggio e al suo vocabolario, ma che denota anche un certo fiuto degli uomini.

 

Accordi segreti

In un clima internazionale così teso, l'italiano Felice Orsini  attentò alla vita di Napoleone III  facendo esplodere tre bombe contro la carrozza imperiale, che rimase illesa, provocando otto morti e centinaia di feriti. Nonostante le aspettative dell'Austria, che sperava nell'avvicinamento di Napoleone III alla sua politica reazionaria, l'Imperatore francese venne convinto abilmente da Cavour che la situazione italiana era giunta a un punto critico e necessitava di un intervento sabaudo.

Fu così che si gettarono le basi per un'Allenza sardo-francese, nonostante le avversità di alcuni ministri di Parigi, specialmente di Alessandro Walewski. Grazie anche all'intercessione di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione e di Costantino Nigra , entrambi istruiti adeguatamente da Cavour, i rapporti tra Napoleone e Vittorio Emanuele divennero sempre più prossimi.

Nel luglio del 1858, con il pretesto di una vacanza in Svizzera , Cavour si diresse a Plombières. , in Francia, dove incontrò segretamente Napoleone III. Gli accordi verbali che ne seguirono e la loro ufficializzazione nell'alleanza sardo-francese del gennaio 1859, prevedevano la cessione alla Francia della Savoia e di Nizza in cambio dell'aiuto militare francese, cosa che sarebbe avvenuta solo in caso di attacco austriaco. Napoleone concedeva la creazione di un Regno dell'Alta Italia, mentre voleva sotto la sua influenza l'Italia centrale e meridionale. A Plombières Cavour e Napoleone decisero anche il matrimonio tra il cugino di quest'ultimo,Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte e Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele

 

Italia e Vittorio Emanuele

Ritiratisi gli austriaci da Chivasso, i franco-piemontesi sbaragliarono il corpo d'armata nemico presso Palestro e Magenta arrivando a Milano l'8 giugno 1859. I Cacciatori delle Alpi, capitanati da Giuseppe Garibaldi ,rapidamente occuparono Como Bergamo, Varese e Brescia ,soltanto 3.500 uomini, male armati, che ormai stavano marciando verso il Trentino . Ormai le forze asburgiche si ritiravano da tutta la Lombardia 

Decisiva la battaglia di Solferinoe San Martino sembra che, poco prima dello scontro presso San Martino ,Vittorio Emanuele II così abbia parlato alle truppe, in piemontese:

(PMS)

« Fieuj, o i pioma San Martin o j'àuti an fan fé San Martin a noi! »

(IT)

« Ragazzi, o prendiamo San Martino o gli altri fanno fare San Martino a noi! »

("fare San Martino" dal piemontese «fé San Martin» vuol dire "traslocare", "sloggiare").

Moti insurrezionali scoppiarono allora un po' ovunque in Italia:Massa Carrara Modena Reggio Parma Piacenza .Leopoldo II di Toscana   impaurito dalla piega che avevano preso gli avvenimenti, decise di fuggire verso il Nord Italia, nel campo dell'imperatore Francesco Giuseppe. Napoleone III, osservando una situazione che non seguiva i piani di Plombières e cominciando a dubitare che il suo alleato volesse fermarsi alla conquista dell'Alta Italia, dal 5 luglio cominciò a stipulare l'armistizio con l'Austria l, che Vittorio Emanuele II dovette sottoscrivere, mentre i plebosciti in Emilia, Romagna e Toscana confermavano l'annessione al Piemonte: il 1º ottobre Papa Pio IX ruppe i rapporti diplomatici con Vittorio Emanuele.

L'edificio che si era venuto a creare si trovò in difficoltà in occasione della pace di Zurigo  firmata dal Regno di Sardegna solo il 10/11 novembre 1859, che, invece rimaneva fedele all'opposto principio del ritorno dei sovrani spodestati e alla costruzione di una federazione, con a capo il Papa, e che avrebbe compreso anche il Veneto austriaco, con tanto di esercito federale.Ciò nonostante di lì a pochi mesi si venivano a creare le opportunità per l'unificazione intera della Penisola. Alla volontà di Garibaldi di partire con dei volontari alla volta della Sicilia, il governo pareva molto scettico, per non dire ostile. C'erano, è vero, segni di amicizia tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, che si stimavano a vicenda, ma Cavour in primo luogo considerava la spedizione siciliana come un'azione avventata e dannosa per la sopravvivenza stessa dello stato sardo.

Sembra che Garibaldi abbia più volte ribadito, per far acconsentire alla spedizione, che:

« In caso si faccia l'azione, sovvenitevi che il programma è: Italia e Vittorio Emanuele. »

Nonostante l'appoggio del Re, ebbe la meglio Cavour, che privò in questo modo la campagna garibaldina dei mezzi necessari. Che il Re abbia, infine, approvato la spedizione, non si può sapere. Certo è che Garibaldi trovò a Talamone, quindi ancora nel Regno di Sardegna, i rifornimenti di cartucce. Dura fu la protesta diplomatica: Cavour e il Re dovettero assicurare all'Ambasciatore prussiano di non essere al corrente delle idee di Garibaldi.Giunto in Sicilia, Garibaldi assicurava l'isola, dopo aver sconfitto il malridotto esercito borbonico, a «Vittorio Emanuele Re d'Italia». Già in quelle parole si prefigurava il disegno del Nizzardo, che non si sarebbe certo fermato al solo Regno delle Due Sicilie, ma avrebbe marciato su Roma. Tale prospettiva cozzava contro i progetti piemontesi, che adesso vedevano incombere il pericolo repubblicano e rivoluzionario e, soprattutto, temevano l'intervento di Napoleone III nel Lazio. Vittorio Emanuele, alla testa delle truppe piemontesi, invase lo Stato Pontificio, sconfiggendone l'esercito nella Battaglia di Castelfidardo . Napoleone III non poteva tollerare l'invasione delle terre papali, e più volte aveva cercato di dissuadere Vittorio Emanuele II dall'invasione delle Marche, comunicandogli, il 9 settembre, che:

« Se davvero le truppe di V.M. entrano negli stati del Santo Padre, sarò costretto ad oppormi [...] Farini mi aveva spiegato ben diversamente la politica di V.M.»

L'incontro con Garibaldi , passato alla storia come "incontro di Teano " avvenne il 26 ottobre 1860, veniva riconosciuta la sovranità di Vittorio Emanuele II su tutti i territori dell'ex Regno delle Due Sicilie. Ciò portò all'estromissione della concezione di Italia repubblicana di Giuseppe Mazzini  e condurrà alla formazione di nuclei antimonarchici di stampo repubblicano, internazionalista e anarchico che si opporranno alla corona fino alla fine della sovranità sabauda.

 

La Proclamazione a Re D'Italia

"Viva Verdi": questo era stato il motto delle insurrezioni anti-austriache nel nord Italia quando i patrioti non intendevano tanto esaltare la figura di un grande musicista , che pure aveva introdotto significati patriottici nelle sue opere, quanto propagandare il progetto unitario nazionale nella persona di Vittorio Emanuele II (Viva V.E.R.D.I. = Viva Vittorio Emanuele Re D'Italia).

Con l'entrata di Vittorio Emanuele a Napoli, la proclamazione del Regno d'Italia divenne imminente, appena Francesco II avesse capitolato con la fortezza di Gaeta.

Rinnovato il parlamento, con Cavour primo ministro, la sua prima seduta, comprendente deputati di tutte le regioni annesse (tramite plebiscito), avvenne il 18 febbraio 1861.

Il 17 marzo il parlamento proclamò la nascita del Regno d'Italia , proponendo questa formula al Parlamento italiano:

« Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di re d'Italia. Gli atti del governo e ogni altro atto che debba essere intitolato in nome del Re sarà intestato con la formola seguente: (Il nome del Re) Per Provvidenza divina, per voto della Nazione Re d'Italia »

La formula venne però aspramente contestata dalla sinistra parlamentare, che avrebbe preferito vincolare il titolo regio alla sola volontà popolare. Infatti, il deputato Angelo Brofferio propose di cambiare il testo dell'articolo in:

« Vittorio Emanuele è proclamato dal popolo re d'Italia »

rimuovendo "la Provvidenza divina " espressione ispirata dalla formula dello Statuto Albertino (1848) che recitava Per Grazia di Dio e Volontà della Nazione legittimando in tal modo il Diritto divino del Re  della dinastia sabauda.

Così si esprimeva per la Sinistra Francesco Crispi nel dibattito parlamentare:

« L’omaggio alla religione è nell’articolo 1° dello Statuto, e l’unione tra principe e popolo io la vedo meglio e più convenientemente nell’esercizio della potestà legislativa. La formola: Per la grazia di Dio, comunque voi ne rifiutaste il senso primitivo, sarà sempre la formola dei re sorti nel medio evo, abbattuti dalla rivoluzione francese, ristorati dal Congresso di Vienna.

Quei re ripetevano il proprio diritto da Dio e dalla loro spada. Con questa duplice forza si allearono la Chiesa e l’impero. L’impero metteva a disposizione della Chiesa la spada, a condizione che la Chiesa ne legittimasse le inique conquiste colla parola divina. Fortunatamente quei tempi non sono più; laddove durassero, nella nostra Penisola non ci sarebbe un regno d’Italia, ma avremo sette principi in sette Stati governati col carnefice e benedetti dal pontefice romano. »

La proposta della Sinistra non venne accolta e fu approvato il seguente

« Articolo unico. Tutti gli atti che debbono essere intitolati in nome del Re lo saranno colla formola seguente: (Il nome del Re) Per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. »

Morte

A fine dicembre dell'anno 1877 Vittorio Emanuele II, amante della caccia ma delicato di polmoni, passò una notte all'addiaccio presso il lago nella sua tenuta di caccia laziale. L'umidità di quell'ambiente gli risultò fatale. Secondo altri storici le febbri che portarono alla morte Vittorio Emanuele erano invece febbri malariche, contratte proprio andando a caccia nelle zone paludose del Lazio

La sera del 5 gennaio 1878, dopo aver inviato un telegramma alla famiglia di Alfonso la Mormora , da poco scomparso, Vittorio Emanuele II avvertì i forti brividi della febbre.

Il 7 gennaio venne divulgata la notizia che il Re aveva i giorni contati.Papa Pio IX, quando seppe della ormai imminente scomparsa del sovrano, volle inviare al Quirinale  monsignor Marinelli, incaricato forse di ricevere una ritrattazione del re e di accordare al Re morente i sacramenti, ma il prelato non fu ricevuto. Il re ricevette gli ultimi sacramenti dalle mani del suo cappellano, monsignor d'Anzino, che si era rifiutato di introdurre Marinelli al capezzale del Re, poiché si temeva che dietro l'azione di Pio IX si nascondessero degli scopi segreti.

Quando il medico gli chiese se voleva vedere il confessore, il Re lo fissò con un piccolo trasalimento di stupore, ma non di paura. "Ho capito" disse, e fece entrare il cappellano. Questi rimase con lui una ventina di minuti, poi andò alla parrocchia di San Vincenzo per prendere il viatico. Il parroco disse che non era autorizzato a darglielo, e per rimuovere la sua resistenza fu necessario l'intervento del Vicario. Il re rimase presente a sé stesso fino all'ultimo, e volle morire da Re. Rantolante, si fece trarre sui cuscini, si buttò sulle spalle una giacca grigia da caccia, e lasciò sfilare ai piedi del letto tutti i dignitari di Corte salutandoli uno per uno con un cenno della testa. Infine chiese di restare solo con Umberto e Margherita, ma all'ultimo fece introdurre anche il figlio che aveva avuto dalla Rosina, Emanuele di Mirafiori, e per la prima volta costui si trovò di fronte a Umberto che non aveva mai voluto incontrarlo.

Il 9 gennaio alle ore 14:30 il Re morì dopo 28 anni e 9 mesi di regno, assistito dai figli ma non da Rosa Vercellana (a cui fu impedito di recarsi al capezzale dai ministri del Regno).

La commozione che investì il Regno fu unanime e i giornali fecero a gara sul titolo più lacrimoso. Il Piccolo di Napoli titolò: "È morto il più valoroso dei Maccabei, è morto il leone di Israele, è morto il Veltro dantesco, è morta la provvidenza della nostra casa. Piangete, o cento città d'Italia! piangete a singhiozzo, o cittadini!..." Ma di questa istigazione alla préfica non c'era bisogno perché gli italiani piangevano davvero, compresi quelli che non erano di fede Monarchica. "Chi sapeva, o gran re, di amarti tanto?" si chiedeva Fabio Nannarelli. Perfino Cavallotti, l'araldo della Sinistra italiana, si commosse, e scrisse a Umberto. Tutta la stampa, compresa quella straniera, fu unanime nel cordoglio. A far stecca nel coro furono, e non poteva essere altrimenti, i giornali austriaci Neue Freie Presse e il Morgen Post. L'Osservatore Romano scrisse: "Il re ha ricevuto i Santi Sacramenti dichiarando di domandare perdono al Papa dei torti di cui si era reso responsabile". L'Agenzia Stefani smentì immediatamente. La Curia smentì la smentita. E i giornali laici insorsero a una voce dando al Papa di "avvoltoio" e accusandolo di "infame speculazione sul segreto confessionale". Così quella che avrebbe potuto essere un'occasione di distensione, diventò un ennesimo motivo di rissa.

Vittorio Emanuele II aveva espresso il desiderio che il suo feretro fosse tumulato in Piemonte, nella Basilica di Superga , ma Umberto
I ,accondiscendendo alle richieste del Comune di Roma , approvò che la salma rimanesse in città, nel Pantheon nella seconda cappella a destra di chi entra, adiacente cioè a quella con l'Annunciazione di Melozzo da Forli'. La sua tomba divenne la meta di pellegrinaggi di centinaia di migliaia di italiani, provenienti da tutte le regioni del Regno, per rendere omaggio al Gran Re che aveva unificato l'Italia dopo quasi mille anni di divisioni e discordie. Stendendo il proclama alla nazione, Umberto I (che adottò il numerale I invece del IV, che avrebbe dovuto mantenere secondo la numerazione sabauda), così si espresse:

« Il vostro primo Re è morto; il suo successore vi proverà che le Istituzioni non muoiono! »

 Edmondo De Amicis fece così descrivere il funerale ai giovani personaggi del suo libro Cuore :

« ...ottanta veli neri caddero, cento medaglie urtarono contro la cassa, e quello strepito sonoro e confuso, che rimescolò il sangue di tutti, fu come il suono di mille voci umane che dicessero tutte insieme: - Addio, buon re, prode re, leale re! Tu vivrai nel cuore del tuo popolo finché splenderà il sole sopra l’Italia.- »

 

 

Umberto I di Savoia

Umberto I (Umberto Rainerio Carlo Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio di Savoia; Torino , 14 marzo 1844-Monza 1900) fu RE D'Italia dal 1878 al 1900. Figlio di Vittorio Emanuele II , primo re d'Italia, e di Maria Adelaide D'Austria , regina del Regno Di Sardegna , morta nel 1855.

Il suo regno fu contrassegnato da diversi eventi, che produssero opinioni e sentimenti opposti.

Il monarca viene ricordato positivamente da alcuni per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l'epidemia di colera a Napoli del 1884 , prodigandosi personalmente nei soccorsi (perciò fu soprannominato "Re Buono"), e per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli  che apportò alcune innovazioni nel codice penale, come l'abolizione della pena di morte.

Da altri fu aspramente avversato per il suo duro Conservatorismo, il suo indiretto coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana, l'avallo alle repressioni dei moti popolari 1898 e l'onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris per la sanguinosa azione di soffocamento delle manifestazioni del maggio dello stesso anno a Milano , azioni e condotte politiche che gli costarono almeno tre attentati nell'arco di 22 anni, fino a quello che a Monza , il 29 luglio 1900, per mano dell'anarchico Gaetano Bresci, gli sarà fatale.

Proprio dagli anarchici, Umberto I ricevette il soprannome di "Re Mitraglia" Fu anche il destinatario di uno dei biglietti della folliua di Friedrich Nietzsche .

Da Umberto I prende il nome l'ononimo stile artistico ed arcitettonico.

 

La salita al trono

Alla morte del padre Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, Umberto gli succedette col nome di Umberto I sul trono italiano e di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l'unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo. Nello stesso giorno egli emanò un proclama alla Nazione in cui affermava: Il vostro primo re è morto; il successore vi proverà che le istituzioni non muoiono! Il 17 gennaio 1878, giorno dei funerali del padre, Umberto I, accogliendo la petizione del Municipio di Roma, predispose l'inumazione della salma nel Pantheon di Roma , che fece diventare simbolicamente il mausoleo della famiglia reale che ancora oggi accoglie le spoglie dei primi due sovrani d'Italia.

Roma fu luogo simbolico dal momento che la sua presa aveva rappresentato il completamento dell'agognata unità nazionale. Infine, il 19 gennaio, avvenne il solenne giuramento sullo Statuto albertino, nell'aula di Monetcitorio , alla presenza di senatori e deputati. Molti erano i problemi da affrontare per il secondo sovrano d'Italia: l'ostilità del Vaticano, che, dopo la morte di papa Pio IX  il 7 febbraio dello stesso anno e l'elezione al soglio di Leone XIII, continuava a disconoscere il Regno d'Italia ; il tentativo di bloccare sia i fermenti irredentistici e repubblicani  che attraversavano il Paese sia i propositi anti-unitari di certi circoli politici occulti, nazionali ed esteri; l'assoluta necessità di creare un ampio fronte di riforme sociali di cui potessero godere le classi meno abbienti; il rilancio dell'economia nazionale, già da troppo tempo stagnante; e soprattutto l'urgentissimo problema di porre fine all'isolamento internazionale dell'Italia e di aumentare il suo prestigio in politica estera.

Più rispettoso del padre della prassi costituzionale, Umberto I fu il primo monarca sabaudo a regnare non "per grazia di Dio"; giurò di agire, già nel suo primo discorso della Corona, "nel rispetto delle leggi". Uno dei primi provvedimenti che Umberto I dovette affrontare da re furono le dimissioni, il 9 marzo, del gabinetto di Agostino Depretis, leader della Sinistra storica; il re, non ritenendo conveniente riaffidargli l'incarico, scelse Benedetto Cairoli, capo della sinistra moderata e politico da lui molto stimato, come nuovo presidente del Consiglio.

Il problema più spinoso che il suo governo dovette affrontare fu la crisi nei Balcani , nata dalla recente guerra tra Russia e Turchia, fatto per cui fu convocato dal cancelliere tedesco Bismarck il Congresso di Berlino.L'Italia , nel timore di prendere impegni troppo gravosi, non vi ottenne nulla.

 

Il primo tentativo di assassinio

 

Appena salito al trono, Umberto I predispose subito un tour nelle maggiori città del Regno al fine di mostrarsi al popolo e guadagnare almeno una parte della notorietà di cui aveva goduto il padre durante il Risorgimento . Venne accompagnato dalla moglie Margherita, dal figlio Vittorio Emanuele III  e dal presidente del Consiglio Benedetto Cairoli .

Partito da Roma  il 6 luglio, il 10 luglio fu a La Spezia , dall'11 al 30 luglio soggiornò aTorino , il 30 fu a Milano , poi a Brescia e il 16 settembre si recò a Monza, dove assistette all'inaugurazione del primo monumento dedicato al padre Vittorio Emanuele II. Il 4 novembre i reali arrivarono a Bologna : il 7 incontrarono il poeta Giosue' Carducci , di idee repubblicane, il quale, rimasto incantato dalla grazia e dalla bellezza della regina Margherita, scrisse per lei pagine di grande ammirazione e le dedicò la celebre ode Alla regina d'Italia.

Tre giorni dopo Umberto e Margherita erano a Firenze , il 9 novembre a Pisa e a Livorno, il 12 novembre si recarono ad Ancona, l'indomani a Chieti e poi a Bari. Il 16 novembre, alla stazione di Foggia, un certo Alberigo Altieri tentò di lanciarsi verso il sovrano. Venne fermato in tempo, tanto che quasi nessuno si avvide del fatto e nemmeno la stampa ne fece parola. Tuttavia un'indagine della polizia portò a scoprire come il giovane non avesse agito da solo, ma nell'ambito di «un complotto per l'assassinio dell'Augusto sovrano» che aveva «il proposito di farne eseguire il tentativo nelle diverse città visitate». Era l'avvisaglia di quanto sarebbe accaduto il giorno dopo.

Giunto a Napoli il 17 novembre 1878 Umberto subì un tentativo di assassinio che fece molto più scalpore: si trovava, insieme con la moglie, il figlio e Cairoli, su una carrozza scoperta che si stava facendo largo tra due ali di folla, quando improvvisamente venne attaccato, con un coltello, dall'anarchico Lucano Giovanni Passannante, il quale non riuscì nel proprio intento. Nel tentativo di uccidere il monarca, Passannante urlò: «Viva Orsini, viva la repubblica universale». Il re riuscì a difendersi e un ufficiale dei Corazzieri del seguito si scagliò contro l'attentatore ferendolo alla testa con la sciabola (il Re subì un leggero taglio a un braccio), mentre Cairoli, nel tentativo di bloccare l'aggressore, veniva ferito a una coscia. Il tentato assassinio generò numerosi cortei di protesta, sia contro sia a favore dell'attentatore, e non mancarono episodi di guerriglia urbana tra forze dell'ordine e anarchici.

Il poeta Giovanni Pascoli, durante una riunione di socialisti a Bologna , cominciò la pubblica lettura di un componimento, consegnatogli da una persona presente alla riunione, inneggiante a Passannante. Accortosi del contenuto gettò via la carta ed espresse parole di sdegno.. Pascoli verrà arrestato, in seguito, per aver protestato contro la condanna di alcuni anarchici che avevano manifestato in favore dell'attentatore. L'anarchico venne condannato a morte, ma Umberto I commutò la sentenza in carcere a vita, dato che la pena capitale era solo prevista in caso di regicidio . Le pessime condizioni di Passannante in carcere suscitarono, comunque, polemiche da parte di alcuni esponenti politici.

Dopo l'attentato il re, riconoscente, assegnò al Presidente del Consiglio la medaglia d'oro al valor militare, ma il Parlamento, pur ammirandone il coraggio e la devozione, rimproverò il governo circa la cattiva gestione della politica interna, in particolare riguardo alla sicurezza del re e dello Stato; fu quindi presentata un'interrogazione parlamentare che si concluse l'11 dicembre di quell'anno, con le dimissioni del ministero, il quale fu nuovamente affidato a Depretis.

 

Il secondo attentato

 

Il 22 aprile 1897 , il sovrano subì un secondo attentato da parte di Pietro Acciarito . L'anarchico si mescolò tra la folla che salutava l'arrivo di Umberto I presso l'ippodromo delle Capannelle a Roma , e si buttò verso la sua carrozza armato di coltello. Il re notò tempestivamente l'attacco e riuscì a schivarlo rimanendo illeso. Acciarito venne arrestato e condannato all'ergastolo. Analogamente a Passannante, la sua pena fu molto rigida ed ebbe gravi conseguenze sulla sua salute mentale.

Come il precedente tentato regicidio, si ipotizzò una cospirazione anti-monarchica (sebbene Acciarito avesse smentito tutto, dichiarando di aver agito da solo) e vennero arrestati diversi esponenti socialisti, anarchici e repubblicani che furono sospettati di aver avuto collusioni con l'estremista. Tra questi venne incarcerato un altro anarchico di nome Romeo Frezzi , un amico di Acciarito, perché in possesso di una foto dell'attentatore.

Frezzi morì al terzo giorno d'interrogatorio. Sorsero alcune illazioni sul suo decesso (suicidio e aneurisma) ma l'autopsia confermò che la morte avvenne per sevizie subite dagli agenti di pubblica sicurezza, nel tentativo di estorcere una confessione di connivenza con Acciarito. La vicenda suscitò sommosse popolari contro la monarchia.

 

L'attentato fatale

 

Il 29 luglio 1900, Umberto I fu invitato a Monza  per onorare con la sua presenza la cerimonia di chiusura del concorso ginnico organizzato dalla società sportiva Forti e Liberi ; egli non era tenuto a presenziare, ma fu convinto dalla circostanza per cui al saggio sarebbero state presenti le squadre di Trento e Trieste , atleti ai quali - infatti - stringendo le mani, disse: "Sono lieto di trovarmi tra italiani" (frase che non passò inosservata, e che scatenò un uragano di applausi). Sebbene fosse solito indossare una cotta di maglia protettiva sotto la camicia, a causa del gran caldo, e contrariamente ai consigli degli attendenti alla sicurezza, quel giorno fatidico Umberto non la indossò. Tra la folla si trovava anche l'attentatore, Gaetano Bresci , un anarchico  toscano emigrato negli Stati Uniti , con in tasca una rivoltella a cinque colpi.

Il sovrano s'intrattenne per circa un'ora, era di ottimo umore: «Fra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire». Decise di andarsene verso le 22.30 e si recò verso la carrozza, mentre la folla applaudiva e la banda intonava la Marcia Reale .

Approfittando della confusione, Bresci fece un balzo in avanti con la pistola in pugno e sparò alcuni colpi in rapida successione. Non si è mai appurato con precisione quanti, ma la maggior parte dei testimoni disse di aver sentito l'eco di almeno tre. Umberto difatti venne raggiunto a una spalla, al polmone e al cuore. Egli ebbe appena il tempo di mormorare: «Avanti, credo di essere ferito», prima di cadere riverso sulle ginocchia del generale Ponzio Vaglia, che gli sedeva di fronte in carrozza.

Subito dopo, i carabinieri comandati dal maresciallo Locatelli cercarono, riuscendovi, di sottrarre il Bresci al linciaggio della folla, traendolo in arresto. Intanto la carrozza col sovrano ormai cadavere era giunta alla reggia di Monza ; la regina, avvisata, si precipitò all'ingresso gridando: «Fate qualcosa, salvate il re».

Ma non c'era ormai più nulla da fare; Umberto era già spirato.

L'omicidio suscitò in Italia un'ondata di deplorazione e di paura, tanto da indurre gli stessi ambienti anarchici e socialisti a prenderne le distanze (Filippo Turati  ad esempio rifiutò di difendere il regicida in tribunale). Il 9 agosto venne celebrato il funerale religioso a Roma e la sua salma venne tumulata nel Pantheon  accanto a quella del padre; il 13 agosto diventò giorno di lutto nazionale.

Molte furono le voci che si alzarono - contro o a favore - il gesto di Bresci, immediatamente messe a tacere dall'introduzione del nuovo reato di "apologia di regicidio", per il quale vennero tratti in arresto due religiosi: don Arturo Capone,parraco a Salerno  e fra Giuseppe Volponi, un francescano di Roma. Quest'ultimo, fu condannato a 8 mesi di galera e a mille lire di multa (28 agosto).

Bresci venne processato il 29 agosto e condannato il giorno stesso all'ergastolo, in quanto la pena di morte era in vigore solo per alcuni reati militari, puniti dal Codice penale militare di guerra  Bresci morì suicida il 22 maggio 1901 in circostanze molto dubbie (impiccato nella propria cella), sebbene si dicesse che fosse rimasto vittima di un pestaggio da parte delle guardie.

Il luogo dell'attentato, a Monza , è segnato da una Cappella  in sua memoria, costruita nel 1910 su disegno dell'architetto Giuseppe Sacconi , per volontà del figlio del re, Vittorio Emanuele III.

 

 

vittorio emanuele III  1900-1943

1869- nasce a napoli l'11 novembre ed assume il titolo di principe di napoli

1896- sposa elena petrovich niegos di montenegro il 24 ottobre

1900- assume il titolo di re d'italia il 29 luglio

1910- inizia la pubblicazione del corpus nummorum talicorum dove descrive le monete della sua collezione

1936- assume il titolo di imperatore d'etiopia il 9 maggio

1939 assume il titolo di re d'albania il 12 aprile

1946- abdica il 9 maggio per in favore del figlio umberto II si ritira ad alessandria d'egitto in esilio assumendo il nome di conte di pollenzo e dona la sua collezione di monete allo stato italiano

1947- muore ad alessandria d'egitto il 28 dicembre

sotto il suo regno si conclude l'epoca risorgimentale con il completamento dell'unita' d'italia

grandissimo numismatico vuole che la propria monetazione circolante sia ricca e varia dando cosi' ad una vera e propria collezione tra le piu' belle e seguite conio' molte monete e in numero limitato appositamente per i numismatici

fu l'ultimo sovrano italiano a battere moneta.

 

 

Vittorio Emanuele III e la Numismatica

Fu studioso di numismatica e grande collezionista di monete. Nel 1900 acquistò dagli eredi la collezione Marignoli composta da circa 35.000 pezzi nei tre metalli. Pubblicò il Corpus Nummorum Italicorum (1909-1943), opera in 20 volumi dove sono classificate e descritte le monete italiane. Lasciò l'opera, incompiuta, in dono allo Stato italiano. La sua attività di numismatico fu premiata nel 1904 con l'assegnazione della medaglia della Royal Numismatic Society.Volle una monetazione circolante ricca e varia, dando così vita a una vera e propria collezione tra le più belle e seguite. Fece coniare inoltre molte monete in numero limitato esclusivamente per i numismatici. Alla partenza per l'Egitto il 9 maggio 1946, il Re scrisse al presidente del consiglio Alcide De Gassperi : «Signor presidente, lascio al popolo italiano la collezione di monete che è stata la più grande passione della mia vita». Tale collezione è oggi parzialmente esposta nel piano seminterrato di Palazzo Massimo alle terme a Roma.

 

 

Corpus Nummorum Italicorum

Il Corpus Nummorum Italicorum, noto anche come CNI, è stato scritto da Vittorio Emanuele III di Savoia  coadiuvato dai più esperti numismatici dell'epoca. Primo tentativo di un catalogo generale delle monete medievali e moderne coniate in Italia o da Italiani in altri Paesi. È ancora oggi fondamentale per lo studio e la classificazione delle emissioni delle diverse Zecche italiane a partire dal Medioevo. L'opera, inizialmente prevista in 10-12 volumi, rimase incompiuta a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale.

È composta da 20 monumentali volumi azzurro pallido (il colore di Casa Savoia), salvo gli esemplari mandati in dono a capi di stato e collaboratori che sono rilegati in tela azzurra col taglio superiore d'oro. Il primo volume fu pubblicato nel 1910, il ventesimo (rarissimo) nel 1943.

Il sesto volume, comprendente le Zecche minori delle Tre Venezie , della Dalmazia e dell'Albania , uscì in ritardo, dopo le pubblicazioni del settimo ed ottavo volume. Ciò va ricercato nell'attesa dell'esito dellaPrima guerra mondiale . Alla Corte di Vienna non vedevano di buon occhio che officine monetarie entro i confini dell'allora Impero Austroungarico venissero inserite nel Corpus e incaricarono il numismatico roveretano Quintilio Perini di scrivere al Re d'Italia, pregandolo che volesse almeno pubblicare le monete di quelle zecche come supplemento alla fine del volume. A questo desiderio il re non volle corrispondere, perché avendo già pubblicato monete di regioni come la Corsica, la Savoia e il Canton Ticino, che non facevano più parte dell'Italia, non intendeva derogare dalla regola per quelle del Trentino e dell'Istria.Quintilio Perini fu accusato dagli austriaci di alto tradimento e andò esule a Milano fino al termine della guerra, il sesto volume fu pubblicato quattro anni dopo, nel 1922.

Elenco dei Volumi

Di seguito l'elenco dei volumi che raggruppano le zecche.

  • Volume 1 CASA SAVOIA, Torino, Chambéry e le altre sedi dei Savoia, 1910
  • Volume 2 PIEMONTE e SARDEGNA tranne le sedi dei Savoia già sul volume 1, 1911
  • Volume 3 LIGURIA e CORSICA, 1912
  • Volume 4 LOMBARDIA (tranne Milano), 1913
  • Volume 5 LOMBARDIA (Milano), 1914
  • Volume 6 VENETO zecche minori (tranne Venezia), DALMAZIA, ALBANIA, 1922
  • Volume 7 VENEZIA 1º tomo (dall'814 fino al doge Marino Grimani), 1915
  • Volume 8 VENEZIA 2º tomo (dal doge Leonardo Donà al 1866), 1917
  • Volume 9 EMILIA 1º tomo (parte occidentale da Piacenza a Modena), 1925
  • Volume 10 EMILIA 2º tomo (parte orientale, da Bologna alla costa), 1927
  • Volume 11 TOSCANA (tranne Firenze), 1929
  • Volume 12 TOSCANA (Firenze), 1930
  • Volume 13 MARCHE, 1932
  • Volume 14 UMBRIA, LAZIO (zecche minori), 1933
  • Volume 15 ROMA 1º tomo – Dalla caduta dell’impero romano al 1572, 1934
  • Volume 16 ROMA 2º tomo – Dal 1572 al 1700, 1936
  • Volume 17 ROMA 3º tomo – Dal 1700 al 1870 (dopo il 1870 volume 1), 1938
  • Volume 18 ITALIA MERIDIONALE CONTINENTALE (zecche minori), 1939
  • Volume 19 ITALIA MERIDIONALE CONTINENTALE (Napoli 1º tomo – Dal 665 al 1556), 1940
  • Volume 20 ITALIA MERIDIONALE CONTINENTALE (Napoli 2º tomo - Da Filippo II alla chiusura della Zecca), 1943 mai ufficialmente pubblicato

 

UMBERTO II RE D'ITALIA

Il 15 settembre 1904, nel castello reale di Racconigi, nel cuneese, Elena del Montenegro dà alla luce il suo primo (ed unico) figlio maschio, Umberto. L'avere per padre il re d'Italia Vittorio Emanuele III sembra assicurare al piccolo Umberto un futuro di tutto riguardo, in quanto legittimo erede al trono del Regno. Eventi eccezionali interverranno, però, a segnare profondamente la vita del rampollo di casa Savoia e la stessa storia d'Italia: Umberto sarà re, ma molto sui generis.

Cresciuto all'insegna di una rigida educazione militare, consegue la laurea in giurisprudenza e si avvia ad una rapida carriera nelle forze armate. Nel 1930 prende in moglie Maria Jose' del Belgio  con la quale avrà quattro figli: Maria Pia,Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Conseguito nel 1936 il grado di generale, quattro anni dopo assume senza alcuna convinzione il comando del gruppo di armate del settore occidentale. La guerra a Francia e Inghilterra, al fianco della Germania, è stata infatti decisa da Mussolini contro il parere dei Savoia che avrebbero voluto il protrarsi della neutralità italiana. Nel 1942 passa al comando delle truppe dell'Italia meridionale e insulare: un ruolo decisamente marginale, conseguenza della sua (e di sua moglie) sempre meno sottaciuta avversione nei confronti di Mussolini ed Hitler

 

Il duce, a conoscenza dell'ostilità di Umberto, si va adoperando a sua volta per porlo in ombra ed in cattiva luce, favorendo invece il duca d'Aosta - di un ramo collaterale dei Savoia - sul quale comincia verosimilmente a puntare per la successione al trono. Il precipitare delle sorti della seconda guerra mondiale determinano la sfiducia del Gran Consiglio a Mussolini, il 24 luglio 1943, e Vittorio Emanuele III ne consente l'arresto nominando Badoglio Capo del Governo.

L'8 settembre viene sottoscritto l'Armistizio fra l'Italia e gli Alleati, ma la guerra continua, questa volta contro l'ex alleato tedesco. Abbattuto il fascismo, il rancore popolare si rivolge ora al re ed alla stessa monarchia. Vittorio Emauele III, nel tentativo da salvare la corona, il 5 giugno 1944 rinuncia sostanzialmente alle prerogative reali nominando suo figlio Luogotenente: è il primo passo verso l'abdicazione, che avverrà formalmente il 9 maggio del 1946, a meno di un mese dal referendum popoòare che decidera' fra monarchia e repubblica Il principe di Piemonte sale dunque al trono con il nome di Umberto II e, fra i primissimi suoi atti, si impegna a consentire il referendum, dicendosi disponibile ad accogliere qualunque verdetto.

Quando però la Suprema Corte di Cassazione annuncia la nascita della repubblica, e mentre all'ex monarchico Alcide De Gasperi vengono affidate temporaneamente le funzioni di Capo dello Stato, Umberto II diffonde un proclama nel quale denuncia brogli nello svolgimento delle operazioni di scrutinio. Per evitare che i disordini già esplosi a Napoli ed in altre città degenerino in guerra civile, decide di abbandonare l'Italia alla volta di Cascais, nei pressi di Lisbona, in Portogallo, dove assume il titolo di conte di Sarre.

In questo modo si conclude il suo regno, dopo appena 24 giorni dall'ascesa al trono, il 2 giugno del 1946. Cotanta fugacità gli varrà il beffardo appellativo di "Re di maggio".

A Cascais i rapporti con Maria José, mai stati idilliaci, si deteriorano ulteriormente fino alla separazione di fatto: Umberto rimane a Cascais con le figlie, mentre sua moglie si trasferisce a Merlinge, in Svizzera, col piccolo Vittorio Emauele

All'età di 60 anni è colpito da un tumore che lo accompagnerà lentamente e dolorosamente alla morte. Umberto II di Savoia si spegne, settantanovenne, a Ginevra, il 18 marzo 1983. Nel suo testamento dispone che la Sacra Sindone , proprietà dei Savoia da oltre quattro secoli, venga donata a lPapa Giovanni Paolo II ; dona inoltre allo Stato italiano il preziosissimo archivio storico di Casa Savoia. Le sue spoglie, insieme a quelle di Maria José, riposano nella storica abbazia di Hautecombe, in Alta Savoia

 

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